Roma, tragedia in metro, il perdono della madre: «Volevano solo salvarci»

Roma, tragedia in metro, il perdono della madre: «Volevano solo salvarci»
di Maria Lombardi
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Sabato 11 Luglio 2015, 06:12 - Ultimo aggiornamento: 09:02
«Non ce l'ho con loro, non ce l'ho con nessuno. Lo so, l'hanno fatto in buona fede. Volevano solo aiutarci, tiraci fuori da lì in fretta. È andata così. Posso immaginare come saranno distrutti e quanto soffriranno. Li perdono». Cosa resta ancora a una mamma che il suo unico figlio l'ha perso già e trova la forza della pace. A Francesca Giudice restano giorni vuoti da sopportare, senza Marco e quei sorrisi tenerissimi e furbetti.



E il ricordo di quegli ultimi istanti accanto a lui che il tempo non toccherà. Marco le è davanti, nell'ascensore che è una prigione, la sfiora. È in piedi, vicino al passeggino. Si apre quella maledetta porta e non lo vede più. «Un attimo prima era lì e poi all'improvviso era scomparso. Nel nulla, nel buio. Non so dove. Mi è scivolato dalle mani», e come sia stato possibile lei non potrà mai capirlo. Ricorda solo, in quell'ultimo istante, d'aver mosso appena il passeggino e quando ha girato gli occhi Marco era volato via.



«Grazie, davvero. Grazie a tutti voi». E trova anche la forza di pensare a chi le è stata accanto in quelle ore infinite, grazie ai carabinieri, «per la vicinanza in questo momento», e anche ai soccorritori. Legge nei loro occhi la pena, vede quanto soffrono le mani a tirar su il suo bambino, a fare rilievi e mettere barriere di plastica e vuol far sapere che è riconoscente. Nessuna denuncia finora per chi ha provato ad aiutarli, non pensa di fare nulla che possa addolorare ancora di più il dipendente dell'Atac che ha affiancato l'ascensore bloccato per soccorrerla e le due guardie giurate che erano lì.



A TOR VERGATA Giovedì sera, Francesca, non voleva lasciare la stazione della metropolitana di Furio Camillo, «lasciatemi qui». Il marito, Giovanni Grandefronte, l'ha abbracciata a lungo e l'ha convinta ad andare via. «Portatemi da mio figlio», ha chiesto lei, all'obitorio del policlinico di Tor Vergata. «Voglio vederlo». Gli psicologi che le stanno accanto hanno suggerito di assecondare il suo desiderio e i carabinieri della compagnia di piazza Dante, guidata dal capitano Lorenzo Iacobone, l'hanno accompagnata lì.



A tornare nella casa dove c'era la vita con Marco non ce l'ha fatta. Francesca, 43 anni insegnante, e Giovanni, commesso in una libreria del centro, adesso sono a casa di parenti, nella zona sud di Roma. Ci sono ancora i giochi del loro piccolo, nell'appartamento di via Cesare Baronio, a cinquecento metri dalla fermata Furio Camillo. La famiglia viveva lì da settembre e nel condominio adesso c'è chi si strazia a ripensare a Marco, «sveglio, simpatico, sempre sorridente e socievole. Un angelo di bambino».



E ricordarlo nel passeggino mentre la mamma lo portava al parco, «proprio l'altro giorno l'ho aiutata e salire le scale», o la mattina quando andava a scuola, cappellino in testa e zainetto sulle spalle. «Qualche volta protestava perché non voleva andare all'asilo», lì vicino, alla scuola Ada Negri, l'amministratrice del palazzo lo vedeva dalla finestra puntare i piedi mentre il papà cercava di convincerlo. Sarebbero andati via presto da lì, Francesca e Giovanni volevano tornare a via Filarete, dove avevano vissuto fino all'altro anno e rivendere la casa appena acquistata.

«Adesso abbiamo solo bisogno di stare in pace, accanto ai nostri parenti e alle persone che ci vogliono bene», un desiderio di riservatezza. Verranno altri giorni impossibili. Questa mattina sarà eseguita l'autopsia, e poi ci sarà il funerale e quel giorno sarà lutto cittadino, come ha deciso il sindaco.