Roma, stupro di Villa Borghese, 10 anni a Cristi Popa: «Le prove sono nel Dna»

Roma, stupro di Villa Borghese, 10 anni a Cristi Popa: «Le prove sono nel Dna»
di Adelaide Pierucci
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Giovedì 5 Aprile 2018, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 18:55

Una donna di quasi sessant'anni nuda e intirizzita che sbuca per strada da Villa Borghese chiedendo aiuto, con in mano ancora i lacci con cui era stata immobilizzata dopo una notte di botte e stupri. Elisabeth, 57 anni, tedesca, senza fissa dimora, è finita nell'elenco delle vittime simbolo di violenza. Minuta e fragile, è stata violentata nel parco dove da qualche mese dormiva, tra le sue cose trasportate in buste di plastica e zaini. Cristi Popa, 25 anni, romeno, stupratore seriale di disperate, pagherà l'ultima violenza sessuale con 10 anni di carcere. La sentenza è di ieri. Ma Elisabeth non era in aula ad ascoltare. Come le altre vittime di Popa, pure loro assenti, chi stuprata, chi, più fortunata, solo rapinata. Elisabeth, rincorsa dagli incubi, ha preferito lasciare Roma, rimpatriare. Le altre si sono rese irrintracciabili. Il pm Claudia Alberti, titolare dell'inchiesta, forte della prova del dna, aveva chiesto una condanna ancora più salata, 13 anni e 4 mesi. Eppure Popa è uscito con aria stizzita, dal processo in abbreviato e a porte chiuse che gli ha garantito uno pena scontata, fermo nella sua difesa: «Mai stato a Villa Borghese. Mai stuprato una donna. Le ho solo rapinate». Gli era capitato già in Romania.

LE ANALISI
È partendo dai dettagli di un altro stupro orribile che gli investigatori, erano risaliti a lui. Elisabeth viene abusata e rapinata dei 30 euro la notte del 18 settembre, Susy, una delle schiave del sesso sulla Salaria, nove giorni dopo. Stesse modalità. Le botte prima degli abusi, poi l'incaprettamento e l'imbavagliamento con gli abiti della vittima, e infine le minacce di morte. La ragazza viene ritrovata legata a un ombrellone. Servirà il ricovero anche per lei. Per lo stupro di una terza donna, una lucciola romena, l'inchiesta è ancora aperta. Popa finisce in carcere prima per le rapine e lo stupro di Susy. E poi viene raggiunto in carcere da un secondo ordine di cattura, per le violenze su Elisabeth. La soluzione del caso era arrivato dalla individuazione del profilo genetico dell'indagato sui lacci con i quali era stata legata la clochard tedesca, la prima delle quattro vittime del venticinquenne. «Vivo a Roma da marzo», aveva raccontato la donna, assistita dall'avvocato Marco Misuraca, «di giorno girovago in centro e la notte dormo a Villa Borghese. Appena ho visto quel ragazzo avvicinarsi ho avuto subito paura. Mi ha preso per il collo e dopo una scarica di pugni mi ha reso inoffensiva. Dopo gli abusi mi ha imbavagliato e coi lacci delle scarpe mi ha legato le mani e i piedi. Poi ha continuato con atti di autoerotismo». Elisabeth non aveva avuto nemmeno il tempo di guardare in viso l'aguzzino. Non le venne chiesto il riconoscimento. La svolta era arrivata dagli accertamenti della Scientifica: dai lacci con cui la tedesca era stata legata era stato ricavato un aplotipo compatibile con il dna rintracciato nelle altre aggressioni: è la schedatura del ceppo maschile di una certa famiglia. E visto che Cristi era l'unico dei Popa rumeni in quel momento in Italia il cerchio si è stretto. Il difensore, l'avvocato Heacliff Chiodi dà per scontato il ricorso in appello: «Anche nell'omicidio di Amanda Knox era stato preso in considerazione un aplotipo...».
 

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