Stupro di Guidonia, la pista dell'ex fabbrica: nel vecchio rudere centinaia di "fantasmi"

Stupro di Guidonia, la pista dell'ex fabbrica: nel vecchio rudere centinaia di "fantasmi"
di Alessia Marani
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Sabato 26 Maggio 2018, 07:58 - Ultimo aggiornamento: 07:59


Nell'inferno della Leo la ex fabbrica di penicillina sulla Tiburtina, nei palazzi occupati di Tor Sapienza e nei ruderi di campagna abitati dai desperados che non trovano posto nemmeno nei centri di accoglienza o nei campi rom: è qui che gli inquirenti stanno cercando la chiave per risalire ai quattro balordi che nella notte tra giovedì 17 e venerdì 18 maggio hanno sequestrato e poi violentato una donna di 44 anni trascinandola in auto nelle campagne al confine con Guidonia. I fari degli investigatori sono puntati su quel che resta dell'immenso edificio, una volta fiore all'occhiello dell'industria farmaceutica italiana, oggi ridotto a spaventoso scheletro di cemento mangiato dal degrado.

LA POLVERIERA
All'interno vivono centinaia di fantasmi, prevalentemente subsahariani, ma anche romeni, albanesi, rom, bengalesi, indiani e pakistani. Non c'è acqua, non c'è luce, solo pericolosi fornelli di fortuna, montagne di sporcizia in cui sguazzano i topi, materassi buttati a terra che il racket dei più prepotenti vende per 10, 15 euro a notte. «Fare una stima di quanti siano è impossibile, forse quattro/cinquecento», confida un operatore sociosanitario che fino a qualche tempo fa aveva la possibilità di mettere piede all'interno. Una polveriera perennemente sul punto di esplodere, in cima alla lista degli sgomberi da effettuare sul tavolo del prefetto. «Dopo che mi hanno costretta con la forza a salire sulla loro vecchia Panda - ha raccontato Silvia (è un nome di fantasia), la vittima dello stupro - si sono fermati nei pressi della Leo a salutare delle prostitute. Sembravano conoscere bene quei posti. La polizia sta cercando ogni riscontro nella zona industriale della Tiburtina».
Silvia era stata abbordata alla fermata del bus notturno di fronte alla stazione della metro Rebibbia. Poi quei 12 km fino alla strada bianca della Selciatella, a Guidonia, dove è rimasta in balìa dei quattro, probabilmente bengalesi. «Il capobranco mi diceva siamo Bangladesh non avere paura - ha detto la donna - ma potevano anche essere indiani o pakistani».

SCIPPI E AGGUATI
Spaccio, abusi, liti regolate con le lame e piombo, roghi, eccolo l'inferno dell'ex fabbrica. E subito fuori, all'angolo con via del Casale di San Basilio, non è meglio. Qualche mese fa la Questura ha sollecitato l'Atac perché spostasse la fermata dei bus di una pio di centinaia di metri: gli utenti in attesa venivano continuamente depredati di borse e cellulari da alcuni ospiti che sbucavano dallo scheletro per poi tornare subito a nascondersi dentro. Ma lo spostamento non è bastato a fermare le bande di predatori. Cinque giorni fa una ragazza ha denunciato il furto dell'Iphone: mentre era sull'autobus, uno straniero le ha strappato il telefono dalle mani ed è corso via. L'autista, habitué della linea, ha chiuso le portiere e si è lanciato all'inseguimento sperando di anticipare il fuggitivo prima che rientrasse nell'ex fabbrica, ma senza riuscirci. Non basta. Alcune donne al volante sulla Tiburtina hanno denunciato: «All'altezza dell'enorme rudere, un uomo mi si è parato davanti alla macchina, ho frenato per evitare di investirlo, ma in quel momento altri due sono sbucati da dietro, hanno aperto lo sportello e hanno rubato la borsa che era sul sedile». È nell'ex Leo che i quattro stupratori di Guidonia possono avere trovato un nascondiglio o appoggi? Le indagini proseguono senza sosta. Gli agenti del commissariato di Tivoli e della Squadra Mobile di Roma hanno passato al setaccio casolari e ruderi di campagna, alla ricerca anche della Panda con uno sportello mezzo rotto. Nulla è escluso, in attesa che dagli accertamenti scientifici su tracce biologiche e Dna possa venire fuori il tassello mancante per risolvere il rebus.

alessia.marani@ilmessaggero.it
 

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