Roma, lo operano ma lasciano una garza sotto pelle per mesi

(Foto Ansa)
di Marco Carta
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Domenica 30 Luglio 2017, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 17:30
Per cinque mesi ha vissuto con un corpo estraneo sotto l'inguine. Era stato operato di varicocele, ma, nonostante il buon esito dell'operazione, aveva continuato a sentire dolore senza ricevere cure adeguate. Anche quando si è rivolto al pronto soccorso. «Si tratta di un semplice ematoma. Le passerà presto». Invece quella protuberanza arrossata, insieme al dolore, ogni giorno si faceva sempre più grande. L'infezione in corso sembrava non avere spiegazioni, fino all'amara verità: dentro il corpo gli avevano lasciato una garza laparotomica, di quelle utilizzate per tamponare momentaneamente eventuali fonti emorragiche.

L'OPERAZIONE
L'odissea di Gianluca, che è costata il rinvio a giudizio per due medici e un'infermiera, ha inizio nel marzo del 2011, quando decide di operarsi al varicocele nella clinica Villa Anna Maria. L'intervento è delicato, ma di routine, e Gianluca viene dimesso quasi subito. Il dolore post operatorio, per lui, però non si arresta. Ad un mese di distanza, Gianluca sente ancora dolore e si reca al pronto soccorso del Sant'Eugenio, dove però il medico di guardia non si accorge di nulla. La garza è ancora dentro il suo corpo e il rossore è ancora più grande. L'amara scoperta arriva solo tre mesi dopo, il 25 luglio 2011, al Campus Biomedico, quando il chirurgo che lo visita immediatamente lo porta in sala operatoria.

L'INCISIONE
«Non sapevo cosa fosse - ha ricordato il medico ascoltato come testimone nel processo pochi giorni fa - ma avendo lavorato in America per molti anni, ho subito fatto un'incisione». La garza, avvolta dal filo radiopaco visibile ai raggi x, aveva formato un bozzolo, intorno al quale si è sviluppata un'infezione. Immediatamente viene rimossa, Gianluca è salvo e se la cava con una prognosi superiore a 40 giorni. A rischiare, invece, sono i medici che non lo hanno curato adeguatamente, tutti accusati per la loro «negligenza, imprudenza e imperizia» di lesioni personali. Da T.R., il chirurgo che ha effettuato il primo intervento, lasciando la garza all'interno della ferita, all'infermiera C. L. che non avrebbe svolto in maniera regolare «le operazioni di conteggio del materiale chirurgico utilizzato». L.V., il medico del Sant'Eugenio, invece, avrebbe «omesso di disporre l'esame di risonanza magnetica ritenuto utile dal radiologo», che aveva visitato il giorno precedente il ragazzo. Gianluca viveva con una garza infettata sotto la pelle. Ma per i medici era solo un «grossolano ematoma».

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