GLI ESAMI
La gestante, al momento del ricovero, era stata sottoposta subito a test specifici e il D-dimero, un valore ematico che può alzarsi in gravidanza, era risultato dieci volte superiore ai parametri standard. Un dato che avrebbe dovuto allarmare i camici bianchi ed invece pare sia stato ignorato. Le eruzioni cutanee non sono state infatti associate alla grave sofferenza epatica in corso. E alla paziente quindi non fu somministrata alcuna terapia, come risulta dalla cartella clinica, sequestrata dopo il decesso. Altri errori sarebbero arrivati a catena. L'eruzione non era altro che il segnale di un fegato in sofferenza che col trascorrere dei giorni aveva alterato la coagulazione della paziente e affaticato anche il feto, purtroppo anche lui - secondo l'accusa - non monitorato adeguatamente. Agli atti infatti sono risultati pochi tracciati cardiografici.
MOSSA DISPERATA
Quando i medici decidono per il parto cesareo - è la sera del 7 dicembre - è tardi. Il piccolo, in grave soffrenza cardiaca, nasce morto. L'agonia della madre finisce qualche ora dopo. Ad ucciderla - secondo l'autopsia la Coagulazione Intravasale Disseminata, una conseguenza di quel valore ematico fortemente alterato che avrebbe richiesto una terapia adeguata. Il piccolo di Maria Luisa Gomez sarebbe dovuto nascere a breve. Il corredino era pronto. La madre aveva lavorato fino a gravidanza inoltrata finché delle bolle sempre più pruriginose l'avevano fatta preoccupare. Sul foglio di ricovero del pronto soccorso i medici avevano riportato una diagnosi iniziale: «Eruzione cutanea diffusa con lesioni da grattamento sul tronco. E aumento degli acidi biliari». Un dato subito sottovalutato, e poi ignorato nonostante i risultati allarmanti delle analisi. La famiglia non si è costituita parte civile.
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