Roma, roghi tossici e furti nelle nuove bidonville: il Viminale pronto a mandare l'esercito

Roma, roghi tossici e furti nelle nuove bidonville: il Viminale pronto a mandare l'esercito
di Alessia Marani
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Giovedì 28 Settembre 2017, 08:20
Degrado, furti e roghi tossici. La mappa romana dei campi rom formali e abusivi non risparmia alcun quadrante della città. Anche se il palmares degli insediamenti se lo aggiudica Roma Est, dove è concentrata la maggior parte degli accampamenti. Non è un caso che martedì notte la rivolta sia esplosa proprio dalle parti dell'Albuccione, al confine tra Roma e Guidonia, periferia di palazzi popolari lungo la Tiburtina. Come due anni fa, quando la guerriglia scoppiò davanti al centro di accoglienza per immigrati di via Morandi a Tor Sapienza, i residenti sono scesi in strada con le barricate, la sassaiola, il fuoco. Allora contro gli immigrati, ieri contro i nomadi: «Via da qui», le stesse urla. Una guerra tra poveri.

LA MAPPA
Candoni, Lombroso, Castel Romano, Gordiani, Salone, La Barbuta, via Salaria, questi i principali campi e centri rom formali nella Capitale, per quasi seimila persone censite dalla Municipale. Tra cui vanno annoverati Salviati 1 e 2, i campi tristemente passati agli onori della cronaca dopo la morte della studentessa cinese Zhang Yao, rapinata dai rom e finita sotto un treno dopo essere stata a rinnovare il passaporto all'Ufficio Immigrati circondato dalle favelas. Senza contare gli oltre 260 micro-insediamenti sparsi per la città e popolati da fantasmi che occupano terreni e casolari abbandonati o si sistemano con baracchette di cartoni e lamiere ai bordi delle strade, sui costoni delle ferrovie o persino in mezzo agli spartitraffico. Un esercito di rovistatori, donne e bambini che spingono carrelli e ammassano rifiuti, rame e ferro da accatastare nelle bidonville del terzo millennio. Sono almeno 2500 anime. Una polveriera gigantesca. Che martedì è tornata a riaccendersi, proprio quando il Campidoglio si appresta a chiudere un primo campo, il Camping River di Roma Nord, già al centro delle contestazioni. La struttura doveva chiudere battenti il 30 giugno, poi la moratoria al 30 settembre. Stando a indiscrezioni, parte degli occupanti potrebbe finire nel campo de La Barbuta. Un altro ghetto fatiscente per cui persino l'Unione Europea ha bollato come «discriminatoria» la gestione capitolina minacciandola di infrazione per le condizioni del campo «che limitano gravemente i diritti fondamentali degli interessati». Anche La Barbuta, insieme con La Monachina, attende ormai da mesi la chiusura annunciata.

I COSTI
Solo nel 2014 Roma aveva speso 24 milioni di euro per tenere in piedi i villaggi della solidarietà e i centri di raccolta rom. Una cifra stratosferica andata in appalti scanditi a suon di tangenti e scambi di favore sconfessati dall'inchiesta su Mafia Capitale. Ma la storia dei campi rom capitolini nasce da lontano. Era la fine degli Anni 80 quando il Comune decise di ammassare i nomadi del lungotevere alla Muratella, zona Sud. Dieci anni dopo, nel 90, viene tirato su Salviati dove poi confluirono i transfughi del Casilino 900, il più grande campo all'interno della cinta urbana. Degrado e roghi tossici da allora si sono solo trasferiti di campo in campo. Mentre tensioni e attriti sono aumentati per la difficile convivenza tra etnie e gruppi di potere differenti. L'ex prefetto Franco Gabrielli, ora Capo della Polizia, aveva inaugurato una serie di tavoli tecnici con i rappresentanti di ciascuna periferia per discutere di campi rom e ordine pubblico. Più recentemente il titolare del Viminale Marco Minniti in audizione davanti alla Commissione d'inchiesta sulle Periferie per l'emergenza roghi tossici ha parlato di «tolleranza zero», pronto a mettere in campo «anche misure di controllo straordinario del territorio insieme con i sindaci», fino ad «attivare l'Esercito se necessario». Intanto, quelli dell'Albuccione hanno preferito il fai-da-te.
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