SCENARIO
In totale, attualmente nei pronto soccorso laziali mancano un centinaio di medici specializzati nell'emergenza sanitaria, sostituiti in alcuni casi da medici con altre specializzazioni («ma siamo al limite del consentito dalla normativa», ricorda Adolfo Pagnanelli, primario del Policlinico Casilino), in altri addirittura con il ricorso a medici a gettone, a 60 euro all'ora, o addirittura a cooperative esterne. Non solo: proprio perché non c'è più il ricambio l'età dei medici del pronto soccorso si sta alzando: l'esperienza è importante, ma per chi ha 55-60 anni il turno in prima linea rischia di essere sfiancante. Inoltre, chi si laurea in medicina è sempre meno allettato dal pronto soccorso, perché economicamente meno interessante (difficilmente si può contemporaneamente fare attività privata). E si rischiano aggressioni e denunce più degli altri colleghi.
Scrivono i trenta primari degli ospedali più importanti di Roma e Lazio (per la Capitale c'è la firma di quelli di Gemelli, San Filippo, San Camillo, San Giovanni, Umberto I, Villa San Pietro, Aurelia Hospital, Sant'Eugenio, Sant'Andrea, Pertini, Vannini, Tor Vergata e Fatebenefratelli): è necessario un «incremento significativo del numero di borse regionali destinate alle scuole di specializzazione in Medicina d'Emergenza-Urgenza, anche rivedendo i criteri di accesso per i medici che già lavorano nelle strutture dell'emergenza. Attualmente le borse regionali disponibili sono 9 all'anno ed andrebbero portate a 40». Le risorse umane, secondo gli specialisti dell'emergenza, vanno calcolate sulla reale attività di un pronto soccorso. «L'elevato numero di pazienti che attendono un posto letto, purtroppo anche per giorni, dopo aver concluso l'iter diagnostico nel setting dell'emergenza, sovraccarica il personale del pronto soccorso e richiede attività mediche, infermieristiche ed ausiliarie che esulano dalle finalità stesse dei servizi di emergenza». Infine, i primari chiedono il miglioramento delle condizioni di lavoro (anche con un miglioramento economico, altrimenti sarà sempre più complicato trovare chi accetta di lavorare in prima linea) e una riorganizzazione strutturale.
LIMITI DI ETÀ
«Inoltre, non possiamo esimerci dal considerare come il pronto soccorso non sia un lavoro per vecchi; non si può lavorare in sala emergenza di notte a 60 anni ed ancor meno su di un'ambulanza. Dobbiamo, quindi, porre la questione dello sviluppo della vita lavorativa per chi è impegnato in pronto soccorso o nell'emergenza territoriale, prevedendo, a partire dai 55 anni e solo per coloro che ne faranno richiesta, un'uscita verso unità operative meno gravose». L'appello dei medici va di pari passo con il calvario quotidiano di chi va in pronto soccorso e resta, anche per giorni, in attesa su una barella del ricovero.
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