Lo storico tedesco: «Ma altri ufficiali si sono opposti»

Lo storico tedesco: «Ma altri ufficiali si sono opposti»
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Venerdì 18 Ottobre 2013, 14:43 - Ultimo aggiornamento: 14:44
ROMA Sostiene Priebke: Ho soltanto ubbidito, non era possibile dire di no. Sostiene lo storico Lutz Klinkhammer: falso, sottrarsi a un ordine era possibile. Di più: non risulta un solo caso di militare tedesco punito per aver disubbidito per motivi morali. Klinkhammer, che nel ’94 ha vinto il premio Acqui Storia per il suo libro “L’occupazione tedesca in Italia”, è stato consulente della Commissione bicamerale sull’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti. E’ condirettore della collana Ricerche dell’Istituto Storico Germanico di Roma.

Qual era esattamente il ruolo di Erich Priebke?

«Aveva una importante funzione nell’Aussenkommando della polizia di Kappler, che riuniva in sé le caratteristiche di polizia segreta e polizia di sicurezza, dopo la fusione tra SS e forze di polizia. Sotto Kappler c’erano cinque ufficiali e Priebke era uno di questi. Come tale, ha partecipato alla preparazione e all’esecuzione della strage delle Fosse Ardeatine. Probabilmente ha tenuto l’elenco delle persone da eliminare, uccidendone personalmente due. Possiamo ipotizzare che abbia partecipato ai preparativi e forse all’esecuzione del rastrellamento del 16 ottobre ’43 nel Ghetto».

Era possibile, per una SS, sottrarsi all’ordine di partecipare a una strage?

«Sì, era possibile. L’impossibilità di disobbedire, il Befehlsnotstand, è una invenzione del dopoguerra: nei processi contro i nazionalsocialisti, chi avanzava questa giustificazione veniva classificato complice, non autore, e riceveva pene minori. Non era certo consigliabile rifiutare ordini per motivi politici. Ma per motivi morali si poteva».

Un esempio?

«Il caso del battaglione di polizia 101, studiato da Christian Browning. Venne impiegato in Polonia per l’eliminazione degli ebrei. Chi non se la sentiva, poteva farsi esonerare».

E non veniva punito?

«No. Gerhard Schreiber, storico militare che ha studiato la questione anche per incarico di tribunali, sostiene che non c’è un solo caso di militari tedeschi puniti per essersi rifiutati di compiere omicidi per ragioni morali».

Torniamo alla Roma sotto i tedeschi.

«Parlando del 16 ottobre ’43, abbiamo il console generale tedesco, uno dei più alti diplomatici presenti nella Capitale, che manda al ministro degli Esteri von Ribbentrop un telegramma nel quale afferma: “Qui si vogliono deportare gli ebrei per liquidarli. Non possiamo fare altrimenti?” E il ministro gli risponde: non ti impicciare, è una questione delle SS. Il console non viene punito».

Priebke però era un militare, non un diplomatico.

«Ebbene, per le Fosse Ardeatine abbiamo il caso del maggiore Doberick, che si sottrae all’ordine venuto dal Comando della Wehrmacht di eliminare i prigionieri, dicendo a Kappler: le vittime dell’attentato di Via Rasella erano della polizia, quindi noi militari non c’entriamo».

C’è chi equipara l’attentato partigiano alla strage.

«Il diritto internazionale, con l’ordinamento dell’Aja del ’29, di per sé non vieta la rappresaglia, ma chiede che le forze occupanti mantengano una condotta corretta. Cosa che non si può certo dire degli occupanti tedeschi, che deportarono civili in base alla loro appartenenza razziale. Inoltre, la rappresaglia deve essere annunciata con congruo anticipo, non certo di tre minuti o di 24 ore».

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