CASA SUA
«Quella donna si chiamava Soumya - ha proseguito la ricostruzione - Mi ha chiesto le fotocopie dei documenti. Poi lei mi ha detto che lei lavorava per Pina Vitale, una donna che lavorava per il Comune di Roma e che era in grado di aiutarmi ad avere una casa popolare ma per avere diritto ad essere iscritto alle liste comunali dei richiedenti l'alloggio era necessario un contributo di duemila euro, almeno a dire di Soumya. Io in quel momento non avevo la somma necessaria e quindi ho proposto di pagare un acconto di cinquecento euro e di saldare con il tempo il debito residuo. Cosa che ho fatto». Secondo l'immigrato, che poi ha davvero soggiornato nel palazzo occupato, tanto che si è ritrovato sotto inchiesta per invasione arbitraria dell'immobile, gli sarebbe stata assegnata una stanza appena ha versato i cinquecento euro. «Il giorno che sono entrato in via della Acacie ho conosciuto Pina Vitale che mi ha dato il benvenuto a casa sua e che mi ha spiegato che quell'edificio le era stato assegnato dal Comune per alloggiare le persone in emergenza abitativa. Da quel momento ho pagato il cosiddetto fondo cassa, una somma mensile di venti euro per le bollette della luce e per le pulizie. Pagavo alla signora Delia che abitava e aveva l'ufficio nell'edificio. La somma poi è aumentata a cento euro. A chi non pagava la Vitale diceva che sarebbe stato cacciato perché lei non faceva beneficenza. Ogni pagamento era annotato su un registro e mi veniva data una ricevuta». Ricevute che secondo il pm Luca Tescaroli, titolare dell'inchiesta, avrebbero celato estorsioni di denaro. Ticket analoghi sono stati trovati nel palazzo di via Curtatone, il cui sgombero ha scatenato ad agosto una guerriglia tra occupanti e polizia. Un edificio occupato per quattro anni da almeno cinquecento clandestini, per lo più eritrei. Le ricevute sembravano giustificare compensi per posti letto. L'inchiesta è aperta.