Monte Livata, sulle tracce di Alexia costretta a lasciare i bimbi

Il salvataggio dei bimbi ritrovati nei boschi del Monte Livata
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Martedì 7 Gennaio 2014, 08:22 - Ultimo aggiornamento: 08:24
dal nostro inviato Nino Cirillo

VALLEPIETRA And cos. And che Alexia, dopo cinque chilometri e dieci ore di cammino, intorno a mezzanotte, prese l’unica decisione da prendere, assurda e indovinata allo stesso tempo: abbandonare i due bambini e avventurarsi nel bosco da sola alla ricerca di aiuto, verso il paese, verso Vallepietra che luccicava per il Capodanno.

Lo fece perché davanti a sé aveva un baratro, un enorme costone di roccia scoscesa, ripido quanto l’inferno, che infatti, nello spazio di poco più di un chilometro, l’avrebbe portata dai 1354 metri di Colle Crocione Rotondo ai 650 metri di Fosso dei Muralli, un dislivello pazzesco. Manuel e Nicole non ce l’avrebbero mai fatta.



Lo fece anche per un altro motivo: perché da quel punto anche i bambini vedevano il paese, le luci avrebbero fatto loro compagnia finché non fosse tornata a riprenderli. E anche qui ha azzeccato i calcoli: i bambini avrebbero raccontato ai soccorritori, questi due piccoli eroi, di essersi ben goduti da lassù i fuochi d’artificio. Talmente felici da essersi anche addormentati, nonostante il termometro fosse due gradi sotto lo zero. Altrimenti non si spiega come, per tante ore, le squadre gli abbiano girato intorno senza che loro rispondessero a nessun richiamo.



Le manine nelle tasche, poi. Per tenersi caldo, certo, ma soprattutto perché strada facendo avevano perduto i loro guanti da neve, un paio blu e uno fucsia. E le inutili bugie. Manuel su un albero e Nicole in una grotta, così ce li hanno raccontati abbastanza inverosimilmente il giorno dopo, come pupazzetti di un presepe mai esistito. Invece erano tutti e due accucciati a ridosso di una parete di roccia. Anche a questo aveva pensato Alexia, quello sperone li avrebbe ben protetti dal freddo.



LE «PRATERIE DELLA LOUISIANA»

I flash di quella notte tornano uno a uno ripercorrendo a ritroso il cammino della donna e dei due piccoli, partendo da Vallepietra, che poi di questa storia è il vero cuore. Tornando su quei passi, partendo dal concetto -sostiene Ugo Mioni, fornaio e memoria storica del paese- che «queste non sono le praterie della Louisiana». Infatti, altro che praterie. Questo è un gioco inestricabile di canyon, di cascate alte anche 30 metri, di pietraie insuperabili, di vegetazione fitta e ostile perché i pastori di una volta non ci sono più. «Una giungla», come avrebbe sintetizzato in ospedale proprio Alexia Canestrari. Sembrò lo sfogo di una cittadina viziata, non era così.

A tornare sul posto, si trova una spiegazione a tante cose. Ad esempio, quando lei dice che «insegnavo ai bambini a giocare agli indiani» si riferisce ai segni di vernice bianchi e rossi, proprio come quelli sulle facce dei pellirossa, che trovavano sulle rocce, a indicare un sentiero. Quei segni che sono stati un passatempo ma anche una maledizione.



IL PAESE COME UN MIRAGGIO

E’ sempre Mioni a fare da guida, ma si fa aiutare dal ragazzo di trent’anni o forse meno che è accanto a lui, Flavio De Santis, assessore comunale all’Agricoltura ma anche agente di Ps al commissariato di Fiuggi. Saltella fra rocce e filo spinato, De Santis, e offre la sua verità: «Il sentiero giusto quella donna non l’ha mai trovato».

Alexia, in realtà, ha creduto di raggiungere il paese -che a lei sembrava fin troppo vicino, come il miraggio di un’isola nelle giornate chiare- seguendo il rumore dell’acqua del torrente. E invece la strada giusta era da tutt’altra parte. Il borbottio dell’acqua è stata la sua condanna: l’ha portata sul fronte più ripido, un labirinto di rovi dal quale sarebbe uscita con la tuta da neve lacerata in più punti e senza più alcuna energia.



SENZA PIÙ ENERGIE

Quanto ha camminato dopo essersi separata dalla sua bambina e dal figlio del compagno? «Quaranta-quarantacinque minuti in teoria», sentenziano concordi Mioni e De Santis. Gli orari vanno fissati per quel che si può: se a mezzanotte ha lasciato i piccoli, il suo ritrovamento può essere avvenuto alle tre e mezza, minuto più minuto meno. E lì è cominciato il dramma vero: Alexia al sicuro e Manuel e Nicole svaniti.



La donna, d’impulso, ha provato a risalire la collina insieme ai carabinieri, ma non c’è stato niente da fare. Non ne aveva più le forze. Allora ha cominciato a dare qualche indicazione, ma è stato anche peggio. Parlava di sentiero 37 e di sentiero 17, e i bambini lì non c’erano. Solo il giorno dopo si sarebbe capito che voleva riferirsi a targhette incontrate molto più a monte e che comunque non indicavano sentieri. Poi ha parlato di «due corsi d’acqua che s’incontrano» e allora tutti a cercare dalle parti dell’Acqua del Piccione, quando invece i due corsi che s’incontrano e che potevano risultare utili sono quelli al Fosso dei Muralli.



Neanche lo slittino è stato d’aiuto, il famoso slittino giallo fosforescente portato da Monte Livata per quella che avrebbe dovuto essere una breve gita. «Possibile che gli elicotteri non l’abbiano visto?» gridava lei in ospedale. Purtroppo non l’avevano visto, e anzi, di questo slittino giallo, a distanza di una settimana, non c’è proprio traccia.



«CI SONO I LUPI»

Quando s’è alzato il giorno, il primo giorno del 2014, qualcuno aveva già perso le speranze. «Abbiamo pensato anche ai lupi -sospira un giovane carabiniere- perché qui ci sono i lupi». Ma è bastato riordinare le idee e concentrarsi nell’area tra il ritrovamento di Alexia e i guanti da neve. Un’area relativamente ristretta da perlustrare di nuovo, e alle undici del mattino la fantastica notizia: sono loro, sono vivi. S’è rischiato un mezzo pasticcio anche lì: chi voleva imbracarli con un verricello e portarli via in elicottero e chi invece intendeva assolutamente riportarli in braccio al sicuro. Hanno vinto i secondi, ovviamente a beneficio delle telecamere.



Le indagini che diranno davvero tutta la verità sulla notte di Livata, sono nelle mani del comandante della Compagnia dei carabinieri di Subiaco, Alessio Falzone. Da Vallepietra gli sta dando una mano il comandante della stazione Andrea Avino. Diranno la verità anche sull’effettivo coordinamento nei soccorsi, a Vallepietra l’aspettano. In paese sono abituati a recuperare i dispersi da Livata, che arrivano qui storditi forse dall’apparente vicinanza delle case, disorientati dalle gole, quasi vittime di un sortilegio. E quindi lo spettacolare spiegamento di forze -anche cinque elicotteri e almeno trecento uomini- non l’hanno mandato giù. «Quand’ero ragazzo -racconta Mioni- sa che succedeva? Che il brigadiere usciva dalla caserma e andava a bussare alle porte dei paesani: andiamo. E i dispersi venivano subito ritrovati».