Ostia, il mare è un business di famiglia: «Stabilimenti divisi tra eredi»

Ostia, il mare è un business di famiglia: «Stabilimenti divisi tra eredi»
di Mirko Polisano
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Giovedì 19 Ottobre 2017, 09:22 - Ultimo aggiornamento: 09:23
Settantuno concessioni demaniali marittime, diciotto chilometri di lungomare dove le spiagge sono spartite «come se fossero beni di famiglia», come ha detto più volte il prefetto Domenico Vulpiani chiamato alla guida di Ostia dopo lo scioglimento del X Municipio per mafia. Il commissario che in due anni è riuscito a far chiarezza più di quanto avesse fatto la politica in trent'anni di amministrazione. «Il mare deve essere di tutti- ha ribadito fin dal primo giorno Vulpiani- e non diritto esclusivo di pochi».

LA SITUAZIONE
Quei pochi che sono i «signori del mare» di Ostia. I pionieri del Lido, per lo più ex pescatori e bagnini, che hanno realizzato un'attività che si è trasformata in un impero. Le famiglie Papagni e Balini si dividono gli stabilimenti di Ostia. La concessione de Le Dune fa capo a Renato Papagni, presidente dell'associazione balneari. A lui si deve anche il Polo natatorio di Ostia, che sorge proprio davanti al suo stabilimento, e che è stato realizzato per i Mondiali di nuoto del 2009, di cui è stato progettista.

L'EREDITÀ
La gara degli stabilimenti si consuma tra cognati, cugini, fratelli e sorelle. «Si sono suddivisi il bene pubblico come se fossero eredità private», dicono dal X Municipio. Il riferimento è a chi in modo autonomo si è equamente diviso tra gli eredi le porzioni di spiaggia e ristorante. Il mare come un vero business che frutta un giro d'affari stimato tra i 3 e i 5 milioni di euro l'anno. Un'attività che dura cinque mesi: da maggio a fine settembre, sfruttando per lo più manodopera stagionale a basso costo e - in alcuni casi - anche in nero.

IL 45 BIS
La Capitaneria di Porto di Roma e Fiumicino ha avviato anche un'indagine su un giro di sub-concessioni irregolari e su cui alcuni gestori degli impianti avrebbero speculato all'oscuro dell'amministrazione comunale che, dal canto suo e prima di adesso, non aveva mai controllato. Sotto la lente della Guardia Costiera sono finiti i «servizi» che il codice della navigazione permette di affidare a terzi ma solo dopo l'autorizzazione di comune e municipio. Prassi che per anni, sul mare di Roma, non è mai stata rispettata. E così c'è chi ha affidato in autonomia i punti di ristorazione a società di catering esterne o campi da tennis e beach volley a società sportive del territorio. In cambio, ovviamente, c'è il pagamento mensile degli spazi. Una sorta di sub-affitto pronto a finire nelle tasche dei balneari per arricchire il loro volume di affari. «C'è chi ha pagato 25 mila euro per poter gestire le attività all'interno degli stabilimenti», si legge nei verbali redatti al termine delle operazioni.

I COSTI
Gli stabilimenti balneari sorgono sulle spiagge del demanio marittimo dello Stato, le loro concessioni costano da 0,90 centesimi a 4 euro al metro quadrato l'anno: per un chiosco di quaranta metri quadri significa 600 euro annui, con una potenzialità di guadagno incalcolabile. Intanto i cittadini a Ostia continuano a chiedere il mare libero o quanto meno di non dover pagare il biglietto per entrare in spiaggia. «Si pagano servizi come lettino e ombrellone, non l'ingresso», è la risposta in loop dei balneari. In realtà, però, senza i «servizi» all'arenile non si può comunque accedere. E le spiagge restano blindate da tornelli in funzione con tessere magnetiche. Almeno per ora.

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