Prato suicida in carcere, il dolore del padre: «Figlio mio, che ti sei fatto»

Prato suicida in carcere, il dolore del padre: «Figlio mio, che ti sei fatto»
di Maria Lombardi
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Mercoledì 21 Giugno 2017, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 08:03

«Povero figlio mio, che ti sei fatto...». Sono le 11 del mattino, Ledo Prato è nella camera mortuaria del policlinico Tor Vergata. Lì davanti il figlio Marco, l'hanno appena portato dal carcere di Velletri. «Il detenuto», per gli infermieri della Morgue, come se ormai avesse un senso. «Ci eravamo visti in carcere, chi poteva immaginarlo. Povero figlio....». Il pomeriggio prima a Velletri, padre e figlio, uno davanti all'altro, nel penitenziario. Poche ore dopo in obitorio, padre e figlio, ancora vicini. Chi poteva immaginarlo, o forse quante volte da padre lui l'avrà immaginato nei più terribili dei suoi pensieri.

LE PAURE
Quel figlio così intelligente e fragile. Tre volte Marco ci aveva provato a farla finita e sono paure che per un genitore non possono passare. Insieme a Ledo ci sono altri familiari, il magistrato ha dato il consenso a salutare Marco prima dell'autopsia che sarà eseguita oggi. E loro vogliono vederlo subito. Immaginavano forse di incontrarlo nell'udienza di stamattina davanti alla Corte d'Assise, Marco aveva intenzione di essere presente e sarebbe stata la prima volta per lui in aula.
Ci andava spesso, Ledo, a trovare il figlio in carcere. Tanti colloqui, alcuni intercettati dai carabinieri. Marco parla dei suoi progetti di diventare medico, di fare qualcosa per i detenuti, di organizzare corsi anche di buddismo. Belle idee, e il padre lo incoraggia e lo sostiene. Ma poi ci sono i racconti dei giorni passati lì, a Regina Coeli. «Non ci sono termosifoni, le finestre sono medievali, è tutto rotto, le celle sono da quattro invece che da due». E non è facile nemmeno il rapporto con gli altri detenuti, «sono l'unico laureato sui 130 del mio braccio».

IL MESSAGGIO
Pochi giorni dopo il massacro del Collatino e l'arresto del figlio, Ledo Prato, fondatore e segretario dell'Associazione Mecenate 90, scrive un messaggio sul suo blog: «In questi lunghi anni a tanti ho cercato di trasmettere speranza, coraggio, fiducia, di costruire bellezza, di preservare i valori fondamentali della vita, di credere nel buon futuro. Qualche volta ci sono riuscito, altre no, come dimostra questa tragedia. Forse pensiamo di poter avere un ruolo decisivo nei rapporti umani e famigliari ma non è sempre così».
L'esempio, l'onestà, l'educazione e tutto quello che di buono si tenta di trasmettere, scriveva Ledo Prato, qualche volta «si scontra con contesti difficili, rapporti umani alterati, scelte non sempre condivisibili, disvalori che cancellano valori e sembrano vanificare la missione di una vita a cui hai dato tutto, senza risparmio».