Mafia romana, la bufera sul Pd scuote il Comune: si dimettono Ozzimo e Coratti

Mafia romana, la bufera sul Pd scuote il Comune: si dimettono Ozzimo e Coratti
di Simone Canettieri e Giuseppe Gioffreda
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Mercoledì 3 Dicembre 2014, 08:40 - Ultimo aggiornamento: 08:48
«Il rimpasto lo ha già fatto la Procura». La battuta che gira negli uffici del Campidoglio racconta meglio di tutti la giornata che si è vissuta ieri a Palazzo Senatorio:



la sveglia con le perquisizioni dei Ros, il caffè di metà mattinata a leggere i nomi degli indagati eccellenti e infine l’amaro dopo pranzo: le dimissioni del presidente del consiglio comunale Mirko Coratti e dell’assessore alla Casa Daniele Ozzimo. «Siamo estranei alle accuse ma facciamo un passo indietro», spiegano i due quarantenni cavalli di razza del Pd, il primo ex Popolare e l’altro bersaniano. Che secondo l’inchiesta su Mafia Capitale facevano parte della scuderia gestita da Massimo Carminati e dal braccio destro Salvatore Buzzi. Sono entrambi indagati per corruzione aggravata, su Coratti pende anche l’accusa di finanziamento illecito. Nel terremoto giudiziario finisce anche Eugenio Patanè, consigliere regionale renziano, per finanziamento illecito e turbativa d’asta. L’inchiesta dunque sta toccando tutte le correnti del Pd romano, che ne esce travolto. Altro che le richieste di azzerare la giunta fatte fino all’ultimo a Ignazio Marino.



I RAPPORTI

Il rimpasto già iniziato dalla Procura sarà terminato nei prossimi giorni dal sindaco, ma evidentemente non è più una priorità. Anche se lo sguardo di tutti è rivolto al futuro, nessuno a iniziare da Marino può far a meno di volgere lo sguardo al passato. Alla vittoria delle elezioni quando Carminati consiglia al suo braccio destro «vendere il prodotto, amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane adesso, mettersi la mini gonna e battere». Per iniziare così a «pija le misure a Marino». Dopo pochi mesi di consiliatura il clan ci prova con il vicesindaco Luigi Nieri, quota Sel, con il quale Buzzi scambia sms cordiali per chiedergli di intercedere nella nomina di un capo dipartimento: pratica archiviata perché il nome che “piaceva” all’organizzazione non era passato per un problema di pianificazione politica. Il tentativo di avvicinamento, secondo l’inchiesta, passa da Coratti («Che se lo semo comprati») ma anche da «amici» come Ozzimo. O come il consigliere regionale Patané. La porta migliore per entrare in Campidoglio rimangono i partiti, e quindi il Pd. A fine ottobre 2013 alla domanda di Carminati «come siete messi per le primarie?», Buzzi risponde: «Stiamo a sostene' tutti e due ... avemo dato 140 voti a Giuntella (attuale presidente del Pd) e 80 a Cosentino (segretario comunale dei democrat)». L’ennesima dimostrazione, se fosse vero, della permeabilità delle correnti dem. Un fatto che sta arrovellando in queste ore il sindaco. Che rileggendo con nuove lenti la storia di questi mesi in Campidoglio inizia a capire molte cose.



Dal Nazareno, Lorenzo Guerini, vice segretario del Pd si «schiera subito con la magistratura».
Stesso concetto ribadito anche dal senatore Raffaele Ranucci, il quale non si dice stupito dall’intreccio «tra politica e criminalità. «È doveroso oggi, mentre governiamo la capitale, accertare la verità anche se questo vorrà dire indagare, come leggiamo, dentro il nostro partito». Un Pd, quello romano, che continua a non stupire nemmeno Roberto Morassut, deputato ed ex segretario regionale, che da anni denuncia i comitati d’affari che animano la vita politica del partito: «Ha ragione Pignatone: dobbiamo fare la nostra parte per ripulire le zone d’ombra». Intanto rimane l’epitaffio sul Pd romano scritto da Buzzi, il faccendiere con delega alla mala politica, che dice: «Me li sto a compra’ tutti, semo diventati grossi». Adesso è l’ora dei mea culpa e dell’imbarazzo tra «le macerie di un partito raso al suolo», come commenta un deputato che non vuole inferire più del dovuto.
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