Mafia Capitale, la vita in carcere di Luca Gramazio: ««Non conosco mio figlio piccolo,
voglio vederlo da uomo libero»

Mafia Capitale, la vita in carcere di Luca Gramazio: ««Non conosco mio figlio piccolo, voglio vederlo da uomo libero»
di Adelaide Pierucci
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Giovedì 10 Novembre 2016, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 18:39

Ha rinunciato a conoscere suo figlio, nato pochi giorni dopo la seconda ondata di arresti per Mafia capitale. Perché Luca Gramazio, finito in manette nel giugno 2015 con l'accusa di corruzione aggravata dal favoreggiamento mafioso, non vuole che la mamma e il bambino varchino la soglia di Rebibbia. Spera di incontrare per la prima volta il figlio da uomo libero. Per la procura era «organico» alla cupola, le intercettazioni e le foto degli incontri con Massimo Carminati lo dimostrano, ma, nonostante le evidenze, ieri, in aula, i testimoni citati dalla difesa hanno tentato di dipingere di Gramazio jr, ex capogruppo Pdl alla Regione, poi consigliere regionale Fi, un altro volto, quello descritto dalla moglie: usava il suo bancomat per dare soldi a chi non arrivava a pagare l'affitto, riceveva blocchi di curricula per aiutare gente in difficoltà. «Non ha mai chiesto soldi e favori a chi poteva permetterselo», dice il potente monsignor Liberio Andreatta o i rappresentanti dei costruttori, chiamati in aula. L'ultima udienza del maxi processo a Mafia Capitale, ieri, è stata dedicata alla difesa di Gramazio, camicia bianca e pullover blu, per un giorno, l'ex politico è uscito dalla gabbia dell'aula bunker, per la prima volta si è seduto vicino ai suoi legali, Giuseppe Valentino e Antonio Giambrone. Ne è emerso un lato umano, sintetizzato da una battuta della moglie, ricordata dalla sua segretaria particolare in Campidoglio, Manuela Recchia. «La moglie diceva che era l'unico politico che ci rimetteva i soldi di tasca sua», ha detto la testimone. Ma poi il controesame del pm Luca Tescaroli ha opposto all'immagine dipinta dai teste gli atti dell'inchiesta e le prove.

GLI INCONTRI
E' la segretaria che organizzava l'agenda per anni, eppure non ricorda di aver mai pianificato appuntamenti Carminati. «Ricorda un appuntamento del maggio 2013 al bar Shangri La con Fabrizio Franco Testa e Massimo Carminati?», chiede il pm. «No», taglia corto la teste. «E un altro a dicembre nella Onlus Piccoli Passi?». «No», è di nuovo la risposta. «E ancora nel maggio 2014 in piazza Tuscolo, stavolta anche con Buzzi e Caldarelli?». La procura incassa ancora una sfilza di «no». E poi il chiarimento: «Non ricordo mai il nome di Carminati in agenda». «E non ho mai visto Buzzi in ufficio». Per la procura è il segnale che gli appuntamenti più riservati non passavano attraverso l'agenda istituzionale. Per la difesa, invece, sono «circostanze irrilevanti». «E' normale, succede costantemente - commenta l'avvocato Giambrone - che un politico possa incontrare chiunque senza che i collaboratori ne siano a conoscenza. Non vuol dire che Gramazio avesse qualcosa da nascondere».

IL FIGLIO
Intanto, da un anno e mezzo, Gramazio resta in carcere. Deciso anche a non conoscere il figlioletto, nato venti giorni dopo l'arresto. L'ex capogruppo del Pdl ha scelto di non incontrare né il piccolo, né la madre «perché non debbano mai varcare la soglia di un carcere». A Rebibbia, Gramazio riceve solo il padre, Domenico, ex senatore, le sorelle, i parenti stretti. «Ma il figlio no, non vuole». Chi l'ha visto dietro le sbarre sa che passa giornate intere a studiare le carte processuali. Perché ha un obiettivo: uscire e vedere il suo bambino, ma a testa alta da uomo libero. Ieri, nel viso di Gramazio, per la prima volta, è trapelata un po' di serenità. Annuiva alle parole della segretaria. Come a quelle di monsignor Liberio Andreatta. Ha seguito con attenzione la testimonianza di Eugenio Batelli, presidente dell'Acer, l'associazione costruttori edili romani, e di Stefano Petrucci, responsabile dell'Ance Lazio, in rappresentanza degli imprenditori della Regione. A tutti il pm Tescaroli ha domandato: «Gramazio le ha mai chiesto favori, fondi per le elezioni?». «No, mai», è stata la risposta concorde.