Roma, bimbe morte sulla via del Mare. Papà Dario: «La mia vita è finita»

Roma, bimbe morte sulla via del Mare. Papà Dario: «La mia vita è finita»
di Raffaella Troili
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Martedì 15 Dicembre 2015, 08:15


Piccolo e lieve come una pallina da ping pong, gli occhi a fessura, la rabbia, la disperazione che montano, Dario Di Benedetto rimbalza da un ospedale all'altro della città. Al Bambino Gesù c'è Alessia, 12 anni, che ha già smesso di vivere, al Gemelli Valentina, di 9, e lui non molla «la sua vita è appesa a un filo» dice quando già la commissione dopo sei ore ha decretato la morte naturale. Non ci sta, la figlia è intubata, nella Terapia intensiva pediatrica, si oppone all'espianto, l'elettroencefalogramma non è piatto, strappa un altro paio d'ore di osservazione. E di pietas. Le resta a fianco. In corridoio non c'è che da pregare, c'è chi crede nel miracolo, chi nel fatto che Valentina sentendo proprio la sua voce possa risvegliarsi. Ci si crede, spera tutto il pomeriggio.
«Ho perso due figlie nello stesso giorno in un frontale sulla via del Mare», ripete pieno di rabbia, ce l'ha con l'ex moglie Silvia Jaqueline De Paula che è risultata positivia all'alcoltest e che ancora non sa nulla, ricoverata all'ospedale San Giovanni, sedata, sotto choc, in attesa di essere operata e sotto inchiesta per la morte delle due figlie. «Se c'è una virgola, una remota possibilità dobbiamo aspettare» ripete circondato dai fratelli. Le operazioni slittano, lui resta a fianco della figlia, altri vogliono entrare, fanno a turno, «starle vicino, altre due ore perché un minimo battito c'è».
«NON DOVEVA ANDARE COSÌ»
In corridoio il capannello di amici e parenti ci spera, «non doveva andare così, non doveva...», ripete la mamma dell'amichetta del cuore di Valentina. È qui con il marito, la figlia, il cane. La piccola chiede dell'amica, «ma almeno Valentina non deve morire» ripete, «è appesa a un filo per aria?» chiede e nessuno sa risponderle. Ha gli occhi pieni di lacrime, mille domande da fare a medici, vigili urbani, genitori. «Ma andava a 200 all'ora è vero?». Ognuno risponde a suo modo, «ma posso vederla?» ma non può, mentre la mamma ci prova, «perché quante volte ha dormito da me Valentina, anche tre giorni, la mia voce la riconosce, devo provare, solo un minuto». Non si dà pace, perché aveva mille presentimenti, non aveva mai chiesto nulla, a lei importava aiutare una famiglia in difficoltà e che le bambine, tutte e tre, stessero bene insieme. Ora non si dà pace, avevano preparato i canti di Natale (Valentina andava alla scuola Sesto Miglio sulla Cassia) mentre il papà viveva a Fiuggi. La mamma sempre di corsa, a lavorare per una ditta di pulizie di Pomezia, ad arrotondare. Uno zio, uno dei fratelli del papà, dice di «arrendersi al Signore», non sa perché il fratello era ai domiciliari, è al capezzale della nipote dalle tre del mattino e questo conta. È sera quando Dario si arrende: il cuore ha smesso di battere, i medici staccano la macchina che tiene in vita Valentina. «Erano sveglie, vispe, lei e la sorella», ricordano parenti e amici. Due sgrinfie. Perché tutte e due, perché, la domanda ricorrente. «Una poteva rimanere in vita», così è davvero finita. L'amichetta chiede ancora, guarda e mostra sul cellulare le foto della sua amica e della mamma, le ha portato un bracciale con un cuore ma non ha potuto metterlo lei al polso. «Ma che sta facendo?» chiede. «Dorme, si riposa» le dicono. Ma i suoi occhi sono già gonfi di lacrime.
 

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