Il caso campi rom/Uno spettro per l’Europa: la giustizia creativa

di Carlo Nordio
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Mercoledì 25 Luglio 2018, 00:05
La decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha sospeso lo sgombero di un campo Rom disposto dal Comune di Roma, si inserisce in quel filone di cosiddetta giustizia creativa, che a sua volta rappresenta l’epilogo di un lungo processo di irrazionalismo modernista. Possiamo partire dall’arte che, come è noto, anticipa, nell’evoluzione dello Spirito, i risultati del comportamento pratico: dal cubismo e dall’astrattismo, che hanno scomposto la forma e l’immagine; dalla dodecafonia, che ha frantumato le armonie dei suoni, e dall’ermetismo, che ha destrutturato la parola, ancor prima che Derrida ne destrutturasse il significato. 

Da lì il processo è stato inarrestabile, sino ad arrivare alla finanza creativa, che ha devastato conti pubblici e risparmi privati, e finalmente alla giustizia creativa, di cui si è avuto il massimo esempio nella sentenza che ha condannato il derubato a risarcire il ladro. In attesa che arrivi quella che condanna il postino a risarcire il cane , eccoci a quella attuale: il Comune di Roma deve lasciare i nomadi dove sono.

Va detto subito che se lo sgombero fosse stato disposto “tout court”, lasciando i destinatari senza tetto e dissolvendo l’unità delle famiglie, la decisione sarebbe sacrosanta.

Ma in realtà il Comune di Roma ha proposto, o così afferma di aver fatto, “reiterate offerte alloggiative, di inclusione abitativa e lavorativa”. Il che,al netto del burocratichese , starebbe a significare che il sindaco ha indicato alternative accettabili e dignitose, e che i nomadi le hanno rifiutate. E così hanno fatto ricorso alla Corte. 

Ora quest’ultima ha chiesto sul punto una documentazione ulteriore. Poiché non crediamo che il Comune sia stato così improvvido da resistere in causa senza allegare la prova delle “reiterate offerte alloggiative”, possiamo solo supporre che la Corte sia stata colta da uno di quegli entusiasmi del politicamente corretto per il quale tutte le regole tradizionali del buon senso sono saltate, e continuano a saltare. La Corte sa benissimo che questi campi non danno alcuna garanzia di sicurezza, di igiene e di presenze. Nessuno sa chi ci sia dentro, come viva, come possa permettersi auto di lusso e come allevi i minori. L’accusa di razzismo, che paralizza ogni iniziativa volta a riportare ordine, ha sinora impedito anche quel famoso “ censimento” che altro non è se non la normale registrazione che grava su ciascuno di noi sin dal momento della nascita, e di cui ha dato benemerita applicazione la Chiesa cattolica, che con i suoi atti parrocchiali ha nei secoli sopperito alle carenze di Stati inefficienti e di organismi corrotti. In questo senso, lo sgombero disposto dalla Raggi non è altro che un ritorno alla legalità.

La decisione, comunque è interlocutoria,e probabilmente dopo le integrazioni fornite dal Comune consentirà l’esecuzione dell’ordinanza di sgombero. Ma intanto il dubbio è stato seminato. E’ il dubbio che questa giustizia cosiddetta sovranazionale, che già all’Onu ha dato pessima prova di sé condannando Stati democratici e premiando dittatori sanguinari, sia in forte crisi, e stia perdendo rapidamente credibilità. Essa costituisce un’ulteriore picconata alla già traballante Unione Europea, e se vogliamo evitarne la dissoluzione è inutile e puerile lanciare allarmi in modo scomposto e generico per i risorgenti sovranismi.

Bisogna piuttosto evitare che i cittadini guardino con sfiducia, o peggio ancora con rabbia, a provvedimenti presi sulla loro testa da organismi lontani. Come, appunto, questa decisione creativa della Corte Europea. Perchè mentre l’arte può, e anzi deve permettersi una creatività emotiva , la Giustizia poggia su basi più solide e convenzionali. Il cittadino che non apprezzi le distonie dodecafoniche può sempre spegnere la radio, o ascoltare altro. Ma non può spegnere il programma della Giustizia, può solo cambiare canale. Ed è quello che oggi minaccia, e con buone ragioni, di fare.
 
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