Guidonia, rapina nel sangue: «Nostro figlio è un buono ma si fa trascinare»

Guidonia, rapina nel sangue: «Nostro figlio è un buono ma si fa trascinare»
di Camilla Mozzetti
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Martedì 13 Giugno 2017, 08:27
Ragazzi complicati Simone Brunetti ed Emanuele Taormina. I due giovani che ieri hanno provato a rubare la refurtiva di un commerciante del Car a Guidonia. Emanuele è morto e Simone lotta ora in terapia intensiva al policlinico Umberto I di Roma. I colpi sparati dall’agente di Polizia che, pur non essendo in servizio, ha cercato di interrompere il tentato furto, lo hanno raggiunto alla schiena, ai polmoni e al fegato.
Non era la prima volta che mettevano a segno un colpo. Almeno, non era la prima volta per Simone. I problemi con la giustizia italiana, il giovane di 22 anni, residente a Colle Fiorito, li aveva conosciuti prima ancora di diventare maggiorenne. La madre Marina si dispera: «Non voglio commentare nulla – dice – devo pensare solo alla salute di mio figlio». Un figlio che già a 15 anni aveva rubato, in un villaggio vacanze della Toscana, una carta di credito e che nel 2015 era stato, dopo una svariata serie di risse e denunce, condannato per furto e ricettazione. Insieme a due amici, una sera, uscendo da un pub un po’ alla maniera di “Arancia meccanica” aveva rubato un auto e poi tra Guidonia e Roma aveva dato l’assalto ad altre vetture nell’intento di derubare i guidatori.

IL PUGILATO
Rifugiatosi a casa di un amico, era stato accusato e condannato anche per ricettazione poiché trovato con delle armi. Si trovava ora agli arresti domiciliari ma aveva ottenuto un permesso lavorativo che gli permetteva di uscire per 9 ore al giorno dal lunedì al venerdì. E pareva che Simone, appassionato di pugilato e di moto ma con un’infanzia complicata segnata, in parte, anche dalla separazione dei genitori, avesse messo la testa a posto. Con l’aiuto dello zio Salvatore aveva aperto un’officina a Roma, nei pressi della Nomentana. Faceva il meccanico «e – dicono gli amici – nessuno ci capiva in motori quanto lui». Poi però la mente si ombrava. Bastava un litigio, la separazione con la fidanzata, per farlo tornare a delinquere. Non che poi ne avesse bisogno. «Simone – spiega il suo legale, Emanuele Libertazzi – ha sempre avuto problemi a contenere la rabbia». 
«Si faceva trascinare dalle cattive compagnie noi siamo gente per bene» dicono ora i familiari di Emanuele Taormina. Che viveva con la fidanzata, la famiglia al piano di sotto, «amava gli animali, aveva un pastore tedesco e chi ama gli animali non può essere cattivo», dice chi l’ha conosciuto. Aveva qualche precedente anche lui e in casa si battibeccava ultimamente di più. Il padre e la madre ci tenevano tanto a crescere bene quei figli. Per questo, per toglierli dalla strada, li portavano tutti a giocare a calcio. Tanto sport ma non è servito.
 
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