Roma, ucciso di botte fuori dalla discoteca: «Non volevano ucciderlo»

Roma, ucciso di botte fuori dalla discoteca: «Non volevano ucciderlo»
di Adelaide Pierucci
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Martedì 13 Febbraio 2018, 07:49 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 08:53

Un pestaggio finito male. Nessuna volontà di uccidere. La procura riscrive l'omicidio di Giuseppe Galvagno, l'imprenditore cinquantenne di origini siciliane massacrato di botte dai buttafuori della discoteca San Salvador dell'Eur la notte del 2 settembre. Per il pm Eleonora Fini, si è trattato di un omicidio preterintenzionale, non volontario. Il magistrato, che finora procedeva per omicidio volontario in concorso, ha rimodulato la contestazione a seguito della conclusione delle indagini che a carico dei tre vigilantes, Fabio Bellottazzi, Emiliano Dettorri, e Davide Farinacci, attualmente in carcere: i tre, adesso, rischiano il processo.

LE LESIONI
I tre buttafuori, scrive il magistrato, «in concorso tra di loro cagionavano la morte di Galvagno con atti diretti a commettere il reato di lesioni». E quest'ultime hanno causato «un quadro diffuso di emorragia endocranica dovuto ai plurimi traumi contusivi del capo», colpi provocati da «mezzi contundenti di tipo naturale»: cioè mani e piedi, pugni e calci. Azione commessa mentre la vittima si trovava in condizioni «di franca ubriachezza». Niente omicidio volontario, però. Secondo la Procura i tre addetti alla sicurezza intervengono per sedare una lite tra la vittima e un cliente. In due accompagnano Galvagno, agitato e in stato di ebbrezza, fuori dal locale. Qui la vittima viene trattenuta da Dettorri, ma si libera come una furia e a quel punto viene colpita da Farinacci con due pugni al volto. Dopo interviene anche il Bellottazzi, il capo della sicurezza (assistito dall'avvocato Michele Monaco) «che secondo il magistrato cercava nuovamente di calmarlo e non riuscendovi colpiva ancora il Galvagno, nel frattempo caduto a terra, con un calcio al volto». Un'azione violenta ma che secondo i magistrati non prova la volontà di uccidere.

LA RICOSTRUZIONE
Eppure erano stati i giudici del Riesame, nel negare la scarcerazione dei tre indagati (arrestati subito dopo l'omicidio insieme ad altri due colleghi immediatamente prosciolti), a ribadire la volontarietà del gesto, commesso con «inumana violenza». «Si è trattata di una brutale quanto inutile aggressione - sintetizzava l'ordinanza - con un'offensiva finale», quando la vittima «era già sfiancata dai colpi precedenti». «Nessuno dei tre ricorrenti - continuavano i giudici - è intervenuto per interrompere l'ottusa spirale di violenza». «La morte - era stata la conclusione - non poteva non considerarsi prevedibile. L'omicidio quindi non è preterintenzionale ma volontario», tutt'al più inquadrabile «nel dolo eventuale». Ora il nuovo colpo di scena.
 

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