Gianicolo, l'ultimo saluto al giovane accoltellato sulle note di Bruce Springsteen

Carlo Macro
di Marco Pasqua
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Sabato 22 Febbraio 2014, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 10:31
E' stato il suo mito, Bruce Springsteen, ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio. Dall'ospedale Gemelli alla chiesa di Santa Maria in Trastevere, con il fratello che ha chiesto di inserire nel lettore cd dell'auto “Born to run”, uno dei suoi album preferiti. Un'altra copia era stata depositata anche nella bara, insieme ad un biglietto del concerto del ”Boss” di due anni fa, a Firenze, al quale aveva assistito con gli amici di sempre.



Gli stessi che, ieri, hanno affollato la chiesa di Santa Maria in Trastevere, per i funerali celebrati (sulle note di due successi del cantante americano) nel quartiere in cui Carlo Macro amava trascorrere le serate, anche per suonare. E dove, domenica notte, a 33 anni, ha trovato la morte, assassinato da un indiano clandestino, che lo ha colpito al cuore con un punteruolo. Sulla sua bara, una sciarpa di Springsteen e un'altra della Lazio. In prima fila, Giuliana, Francesco e Carlo, mamma, fratello e zio, che si sono stretti in unico grande abbraccio. E che, da domenica, lottano per aiutarsi, a vicenda, per contenere il dolore per la perdita di un «ragazzo generoso, aperto e sensibile ai problemi degli altri», nelle parole di don Marco Gnavi, che ha celebrato la funzione.



LE CANZONI

Un funerale aperto sulle note di “We shall overcome”, una cover di Springsteen di Pete Seeger tra le lacrime, anche di semplici conoscenti. «Le parole sono difficili per chi come me lo conosce da quando avevamo 11 anni – ha detto, parlando dall'altare Giovanni Teodori (figlio di Gigliola Cinquetti, presente in chiesa) – Era un amico a cui chiedere tutto, senza mediazioni, era sempre lì con te, a condividere le proprie passioni. Due mesi fa eravamo stati in montagna insieme, abbiamo percorso 16 chilometri. Spesso non parlava molto, perché con lui non servivano le parole. Con Carletto bastavano gli sguardi. Vivrò sempre nel suo amore e lui vivrà con tutti voi». Don Marco ha ricordato la bontà di un ragazzo, «che ha dimostrato come sia possibile dilatare il proprio amore»: «Non facciamoci contagiare dal cinismo e dalla violenza – ha esortato – Carlo non lo vorrebbe perché credeva e continua a credere in un mondo puro e nella bontà delle persone. La sua morte è stata ingiusta, inaspettata e violenta. La violenza nella vita quotidiana si manifesta in maniera misteriosa e si è portata via Carlo, che conosceva i valori dei rapporti umani».



“PUNGIGLIONE DELLA VIOLENZA”

Un ragazzo che colpiva chi gli stava intorno, ha notato l'amica Livia in una lettera citata da don Gnavi, «per la cura e il calore messi nel suo lavoro» ma anche «per la sua capacità di catturare in un lampo il cuore bambino di mio figlio». E mentre lo zio e gli amici più stretti portavano fuori la sua bara tra gli applausi, le casse diffondevano le note di un'altra sua canzone preferita, quella Thunder Road che racconta di una fuga d'amore: «La notte è tutta per noi, questa strada a due corsie ci porterà ovunque vogliamo. Abbiamo un’ultima possibilità per avverare i nostri sogni, per scambiare con delle buone ruote le nostre ali, salta su, il Paradiso ci aspetta lungo il percorso». Ora Carlo, «persona ingenua, semplice, che ha sognato una vita immune dal veleno, dal pungiglione della violenza, di cui è finito vittima», nelle parole del parroco, ha trovato riposo nel paese di famiglia, in Abruzzo.
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