Giallo dell'ultrà della Lazio fatto a pezzi
caccia agli altri resti nell'Aniene

Giallo dell'ultrà della Lazio fatto a pezzi caccia agli altri resti nell'Aniene
di Marco De Risi e Luca Lippera
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Martedì 18 Agosto 2015, 05:42 - Ultimo aggiornamento: 19 Agosto, 09:09

Gabriele Di Ponto potrebbero essere in un sacco o in contenitore impigliato da qualche parte lungo l'Aniene. Gli investigatori, a più di una settimana dal ritrovamento del piede e di parte del polpaccio sinistro dell'ultrà della Lazio, ritengono che il moncone possa essere «fuoriuscito per caso» dall'involucro che custodisce le altre parti del cadavere. L'ipotesi da cui parte tutto, ovviamente, è che il pregiudicato di San Basilio, 36 anni, sia stato ucciso e poi fatto a pezzi, anche se non si esclude che la mutilazione - l'unica cosa di cui c'è certezza - risalga a una fase di tortura che ha preceduto la presumibile fine dell'uomo.

LE RICERCHE

La caccia al cadavere di Di Ponto, moltissimi precedenti per droga e per rapina, domiciliato a La Rustica, è stata estesa all'area in cui l'Aniene confluisce nel Tevere: il letto è stato scandagliato in più punti ma per ora senza risultati. La scoperta del piede è dell'11 agosto. Nei giorni precedenti c'era stata qualche pioggia. Il fiume, solitamente “a secco” in questo periodo dell'anno, si era gonfiato un po': la corrente potrebbe aver portato il cadavere a parecchia distanza dal punto in cui è affiorato l'arto. L'ipotesi di un involucro usato per nascondere il cadavere, più o meno smembrato, nasce dall'idea che difficilmente l'assassino o gli assassini si sarebbero presi il rischio di buttare in acqua i pezzi del corpo a casaccio e uno a uno. «Il rischio che riaffiorassero subito sarebbe stato alto - dice uno degli investigatori - Anche se in certe vicende non si può mai escludere nulla, è più logico pensare che il corpo sia stato messo dentro un contenitore, un sacco, ad esempio, e che i resti del piede ne siano fuoriusciti casualmente per qualche motivo affiorando successivamente lungo la riva del fiume».

IL MOVENTE

Le indagini sulla macabra vicenda sono affidate alla Sezione Omicidi della Squadra Mobile.

Benché tutto porti a far pensare a una feroce esecuzione, il delitto diventerà acclarato solo quando verranno ritrovate le altre parti del cadavere. Di Ponto, scomparso a fine luglio, era stato arrestato e condannato più volte per rapina e per spaccio di stupefacenti. Moltissimi gli anni trascorsi in carcere, continuamente evocati nel suo profilo sul social network Facebook. Ma gli investigatori non escludono che l'uccisione sia stata «una vendetta privata». L'uomo potrebbe essersi attirato un tale odio e un tale rancore, non necessariamente tra le persone con cui era direttamente in affari, da indurre qualcuno a organizzare una spietata esecuzione: una trappola fatta scattare chissà dove, in un luogo in cui Di Ponto, come capitò tanti anni a un ex pugile nel negozio del ”Canaro”, potrebbe essere stato torturato prima del delitto.

I TESTIMONI

Gli uomini della Squadra Mobile, guidati in questi giorni di ferie dal vice, Stefano Signoretti, stanno sentendo in Questura diverse persone: conoscenti, amici, familiari, pregiudicati conosciuti a San Basilio che conoscevano a loro volta Di Ponto. Difficile, fanno capire gli investigatori, che possa venirne fuori più di tanto. È anche circolata l'ipotesi che Di Ponto, nell'intreccio di traffici e affari sporchi, abbia pestato i piedi a una banda di albanesi. «Non si può escludere nulla, perché siamo veramente in una fase iniziale dell'inchiesta - dice un inquirente - Ma, allo stesso tempo, non ci siamo fatti un'idea prevalente rispetto alle altre». Il 16 luglio, pochi giorni prima della scomparsa, il pregiudicato aveva rinnovato la carta d'identità. C'è chi ha visto nella decisione la preparazione di una fuga o addirittura l'inscenamento di un delitto, con successiva auto-amputazione. «Ma un'ipotesi del genere - dice un poliziotto - è solo da romanzo».