Omicidio Gianicolo, Francesco: «Così ho visto ammazzare mio fratello»

Francesco e Carlo (a destra)
di Marco Pasqua
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Martedì 18 Febbraio 2014, 12:23 - Ultimo aggiornamento: 14:49
Mi morto tra le braccia. svenuto su di me, mentre guidavo. Francesco Macro piange, mentre ripercorre quella maledetta notte al Gianicolo. Ingegnere elettronico, 36 anni, e un unico grande amore: Bruce Springsteen. Coltivato, da almeno dieci anni, insieme al fratello Carlo. Conoscevano le sue canzoni a memoria, lo seguivano, quando potevano, con il solito gruppo di amici-fan, nelle sue principali date italiane: erano stati al suo concerto a Capannelle, l’estate dello scorso anno. E a Firenze, l’anno precedente. Francesco vive alla Garbatella, mentre Carlo, grande tifoso della Lazio, era con la mamma Giuliana nella casa di famiglia in piazza San Pietro in Vincoli. Si era trasferito là, dopo aver aiutato a mandare avanti, per un periodo, l’hotel di famiglia a Pescasseroli, dopo la morte del papà, per un brutto male. Più che semplici fratelli erano amici e spesso uscivano insieme. Erano in auto, domenica notte, mentre scendevano dal Gianicolo, di ritorno da un locale in centro. Una serata con gli amici in comune, prima di riprendere la settimana lavorativa. Erano da poco passate le 2, Francesco era al volante, Carlo gli è seduto accanto a lui. «Stavamo ascoltando la musica», ricorda Francesco, che, ieri mattina, ha dovuto dare la notizia alla mamma.



La musica era ad un volume alto, come ha detto l’uomo che ha ucciso tuo fratello?

«No, non era troppo alto, perché stavamo parlando in auto. Insomma, non dovevamo urlare per sentirci e quindi direi che era ad un livello sicuramente normale. È chiaro che tenendo lo sportello dell’auto aperto, fuori si sentiva di più».

Perché decidete di fermarvi proprio in quel punto?

«Era un tratto dopo un rettilineo, ci sembrava un posto sicuro, illuminato. Dovevamo solo fare pipì, tutti e due».

Dove andate?

«Io mi sono fermato poco dopo l’auto, mentre Carlo è andato poco distante, vicino ad una roulotte ferma».

Senti dei rumori strani?

«No, assolutamente. Quando ho finito di fare pipì ho guardato verso mio fratello e ho visto che era fermo, quasi pietrificato, di fronte alla roulotte. Non riuscivo a capire cosa gli fosse successo e per questo sono subito corso da lui».

Qualcuno ha gridato, hai sentito dei lamenti o qualcosa di insolito?

«No, non mi sono accorto di nulla. Quando sono arrivato davanti alla roulotte ho visto un uomo straniero che aveva in mano un corpo contundente affilato».

Come reagisci?

«Ho pensato solo a portare via mio fratello. Non ero tranquillo là. Gli ho detto: “Ma sei scemo? Che fai? Muoviti, andiamo subito via”. Non riuscivo a capire perché non riuscisse a muoversi».

Era sporco di sangue?

«Non ho visto nessuna macchia. Era immobile. Così l’ho preso e l'ho portato verso la macchina. Alla fine, però, è riuscito a fare qualche passo da solo e ad entrare in auto».

Ti ha detto qualcosa?

«No, era in silenzio».

Quando ti sei accorto che era successo qualcosa di grave?

«Poco dopo essere ripartito con l’auto, quando Carlo è svenuto ed è caduto su di me, senza dire nulla».

L’indiano che ha aggredito Carlo dice che aveva discusso con lui, quasi una lite...

«Ci siamo fermati il tempo giusto per fare pipì. Non ho sentito nulla, nessun grido e nessuno che alzava la voce e quando mi sono girato mio fratello era bloccato. Difficile che ci potesse essere stata una discussione in quei pochi secondi e penso che me ne sarei accorto».
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