Eredità Sordi, teste chiave in difesa dell'ex autista

Eredità Sordi, teste chiave in difesa dell'ex autista
di Adelaide Pierucci
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Mercoledì 25 Aprile 2018, 09:24

Un consiglio di alto profilo dietro alla decisione di chiedere la procura generale per gestire l'eredità di Alberto Sordi, per conto della sorella. Spunta un teste chiave per Arturo Artadi, l'ex autista e factotum della famiglia Sordi, imputato insieme al resto della servitù, con l'appoggio di due avvocati e un notaio, per aver raggirato la signorina Aurelia Sordi gestendo tra le altre cose donazioni a proprio vantaggio per più di due milioni di euro. Ieri, il magistrato Simonetta Matone, sentita in aula come testimone, ha rivelato di aver suggerito lei ad Artadi, sposato con un'amica di Rosa, la sua tata storica, «di ricorrere alla formula della procura generale al fine di tutelarsi e tutelare la Signorina». La Matone, sostituto procuratore della Corte Appello ed ex vice direttore Dap, ha precisato di aver ricevuto a fine 2012 in ufficio Artadi per un consulto. «Artadi mi riferì che c'era un medico che insisteva nel voler vedere Aurelia Sordi, ma che lei, ritenendolo ormai interessato, non voleva più incontrarlo - ha detto la Matone - chiesi allora innanzitutto ad Artadi se la signorina fosse lucida, in grado di intendere e di volere, e lui mi rispose di sì. Allora gli dissi di andare da un notaio e farsi fare una procura generale, visto che si occupava anche della gestione economica della casa, altrimenti poteva rischiare l'accusa di appropriazione dei beni. Non gli indicai né notaio, né altro. Poi, non ne seppi più nulla». «Mi sembrò sollevato», ha aggiunto la testimone, «come se non ci avesse pensato».

LA PERIZIA
Artadi, di cui Rosa era orgogliosa perché godeva di una grande stima dei Sordi, come specificato dalla Matone, le riferì anche «che nonostante la morte di Alberto Sordi erano rimasti a servizio della casa dieci camerieri». Secondo una perizia disposta dal pm Eugenio Albamonte, però, l'infermità mentale causata da demenza senile dalla quale Aurelia Sordi, all'epoca novantacinquenne, era affetta, sarebbe stata percepibile almeno dal 2011, quando la donna aveva manifestato i primi fenomeni di allucinazione. Anche la figlia di Pierina, per sessanta anni cameriera di casa Sordi e ora nella lista degli imputati, ha difeso la servitù: «Mia madre ha lavorato una vita là. Sono cresciuta con Alberto e Aurelia, l'unica bambina che frequentava la casa. Sempre insieme a Natale e per i compleanni. Mai visti amici e parenti... Alberto a volte non rispondeva neanche a Verdone». «Io facevo i compiti a casa Sordi. Ho anche abitato là per quattro anni - ha aggiunto la testimone - le telefonate venivano ammesse da loro. Si potevano passare un paio di chiamate al giorno, quelle indicate da Alberto o da Aurelia. Una volta arrivò, non preventivata, la telefonata della segreteria della Presidenza della Repubblica. Mi venne il dubbio. Misi in attesa e andai da Alberto. Dije che non ci sto, perché tu che hai detto?, mi disse. Che avrei verificato se eri in casa, risposi».

Poi la teste parla della generosità di Alberto e Aurelia: «Era un'abitudine fare offerte - ha raccontato - preparavo io stessa le buste, a volte. Dava anche mille euro per una messa per i defunti». E aggiunge: Aurelia mi ha pagato l'intero mobilio di casa e anche il pranzo di nozze. Non ne sapevo niente. Io ho scelto tutto, poi mi ha saldato». E fornisce la sua versione del fatto che i parenti fossero stati allontanati: «La verità è che Aurelia, a un certo punto, aveva cominciato a fare pulizia, altroché...».

 
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