Disabile segregato in casa e chiuso in una gabbia: condannata tutta la famiglia

Disabile segregato in casa e chiuso in una gabbia: condannata tutta la famiglia
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Mercoledì 7 Dicembre 2016, 07:44 - Ultimo aggiornamento: 8 Dicembre, 10:53
Il suo appartamento, in via del Pigneto, si era trasformato in una prigione. E i carcerieri, che per due anni lo hanno tenuto segregato in condizioni disumane, erano i suoi parenti. Madre, fratello e zio, che ieri sono stati condannati a un anno e sei mesi di reclusione su richiesta del pm Mario Pesci, che li accusava di maltrattamenti e di sequestro di persona.
Sul banco degli imputati, un'intera famiglia: Gabriella, Giuseppe e Roberto Capitani. Per gli inquirenti, hanno imprigionato Fernando, trentenne affetto da una grave disabilità, rinchiudendolo in una gabbia ricavata all'interno della loro casa. Dopo 24 mesi trascorsi dietro le sbarre, lontano dalla luce del sole, il giovane era stato liberato quasi per caso. Gabriella aveva infatti chiamato la polizia per sedare una lite domestica. Gli agenti, arrivati nell'appartamento, avevano trovato la vittima rinchiusa in una stanzetta senza finestre e bloccata da un cancello in ferro battuto.

AVANZI DI CIBO
I fatti risalgono al 29 febbraio del 2012. E' il primo pomeriggio, gli agenti del commissariato di Porta Maggiore arrivano nell'appartamento. Si trovano di fronte una situazione igienica precaria: la casa è invasa da immondizia, ovunque avanzi di cibo e gatti che camminano sui tavoli. In mezzo al caos, una stanza buia e senza finestre attira l'attenzione dei poliziotti: dietro a un cancello in ferro, una sagoma in penombra si muove accucciata sul pavimento. «E' Fernando, mio figlio dice Gabriella è molto malato. Era diventato violento, così abbiamo messo le sbarre». Gli agenti chiedono alla donna di aprire la piccola prigione. Fernando è accovacciato tra montagne di spazzatura, stracci ed escrementi. Il suo giaciglio è un letto in ferro battuto, seminascosto da bottiglie e abiti sporchi e sgualciti. Il volto del ragazzo è pallido, gli occhi sono rossi. I capelli gli arrivano alle spalle, la barba è arruffata. Le unghie di mani e piedi sono talmente lunghe da sembrare artigli. Fernando farnetica, dice frasi sconnesse. Gli agenti scoprono che è affetto da un disturbo psichico da quando ha iniziato le scuole superiori e che non vede la luce del sole da almeno due anni.

LA DENUNCIA
La famiglia Capitani viene segnalata agli inquirenti. A occuparsi delle indagini, il pm Pantaleo Polifemo. Nel capo d'imputazione, scrive che i Capitani «agendo in concorso tra loro maltrattavano il congiunto, affetto da psicosi cronica e non in grado di provvedere in alcun modo alle proprie basilari e minimali esigenze esistenziali, segregandolo in una stanza dell'appartamento in via del Pigneto, chiusa con un cancello». Per il pm, i familiari non avrebbero curato Fernando, costringendolo a vivere in condizioni «intollerabili e penose, non provvedendo in alcun modo alla pulizia dell'ambiente da lui occupato, così da garantirne una anche solo accettabile condizione di igiene, omettendo di sottoporlo a cure e terapie, nonostante le assai precarie e cagionevoli condizioni psicofisiche, non provvedendo alla somministrazione di cibi e bevande in grado di tutelarne il sufficiente sostentamento».
LA DIFESA
I difensori degli imputati, gli avvocati Salvatore e Federico Sciullo, pensano di poter ribaltare la sentenza in appello. «Confidiamo in una maggiore ponderazione dei fatti per giungere a una naturale assoluzione in secondo grado», hanno dichiarato i penalisti.
Michela Allegri
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