Roma, spie al Consiglio di Stato: scacco al giro di mazzette

Roma, spie al Consiglio di Stato: scacco al giro di mazzette
di Adelaide Pierucci
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Mercoledì 13 Dicembre 2017, 08:04 - Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 08:54
La segnalazione che a Palazzo Spada ci fossero delle «spie» era arrivata dagli stessi giudici amministrativi. Troppi accessi sospetti nel sistema informatico. Passaggi strani di sentenze e informazioni per evitare di pagare i diritti. La prova, però, che c'era chi dentro il palazzo del Consiglio di Stato manovrava con gli avvocati, per di più dietro compenso, è arrivata da una intercettazione, a pochi giorni dall'avvio dell'indagine della procura. «Se me fa' anna' fino là e mi dice grazie, je sputo in bocca», diceva Eugenio Borriello, carabiniere in servizio presso la quinta sezione del Consiglio di Stato con la funzione di cancelliere a una collega che lo stava accompagnando a depositare una pratica nello studio di un avvocato. Nessuno dei due era rimasto troppo deluso allora. L'avvocato, infatti, aveva fatto scivolare nelle mani del carabiniere una bustarella contenente cinquanta euro. Lo scomodo del militare di portare dal palazzo del Consiglio di Stato allo studio privato di un legale una memoria è stata poi tecnicamente inquadrata come corruzione. Un reato che sommato a ripetuti accessi abusivi al sistema informatico ieri sono costati all'appuntato dell'Arma una condanna, in abbreviato, a 2 anni e 4 mesi e 10 giorni di carcere.

Assieme al militare sono stati condannati, dal gup Maria Paola Tomaselli, altri due coindagati: Luigi Cesaro, ossia l'avvocato che aveva sborsato la micromazzetta, che ha avuto sei mesi, e Stefania Marsilia (un anno di reclusione), la dipendente di un'agenzia di pratiche legali, che si sarebbe fatta consegnare la copia di un fascicolo dal carabiniere-cancelliere dietro la promessa di cento euro. Borriello avrebbe avallato così il versamento di duecento euro in valori bollati, mai incassati dallo Stato. Sono stati spediti a giudizio invece altri dieci indagati, per lo più avvocati e collaboratori di studio legali, ma anche Stefania Balocchi, la dipendente della III sezione, che nel dicembre 2014 aveva accompagnato il carabiniere dall'avvocato compiacente. Tre invece i giuristi assolti sempre in abbreviato. Tra questi il professore Aldo Loiodice, ordinario di diritto costituzionale a Bari, e noto anche negli ambienti universitari a Roma. Secondo l'accusa originaria, poi caduta, avrebbe istigato il carabiniere a contraffare la sua firma ed attestare il deposito di memorie difensive.

AI DOMICILIARI
«Ho segnato tutto... La prova del nove ce l'ho quando viene a porta' i soldi». Gli atti che nel giugno del 2015 avevano fatto finire agli arresti domiciliari l'appuntato Borriello e la misura dell'obbligo di firma per sei avvocati, riportano pure una conversazione con la collega Balocchi (finita pure lei ai domiciliari) per rassicurarla «sulle aspettative di ricevere una somma di denaro da parte dell'avvocato Antonio Nardone».

FALSO
Ora una decina di principi del foro accusati di corruzione, rivelazione del segreto d'ufficio e falso saranno processati. Tra questi Giuseppe Ceceri, lo stesso Nardone, Giacomo Donnarumma e Alessio Raiola. A mettere nei guai il carabiniere Borriello e la funzionaria Balocchi le intercettazioni carpite su un'auto nel dicembre 2014, mentre si recano allo studio romano dell'avvocato Cesaro. «Se me fa' anna' fino là e mi dice grazie je sputo in bocca». Al ritorno il carabiniere chiede alla donna: «Vedi quanto c'è dentro», e la Balocchi risponde: «Cinquanta». Gli uomini del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri, incaricati dai pm Nicola Maiorano, fotografano una busta. Eppure i legali del carabiniere, gli avvocati Laura Silvestri e Marcello Tringali, sperano nell'assoluzione in appello. La metà delle contestazioni al carabiniere sono cadute in primo grado. Come per i due biglietti per una partita della Roma regalati da un avvocato del giro. Sono stati considerati cadeaux.
 
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