Clan Spada, il processo fa paura: nessuna vittima tra le parti civili

Clan Spada, il processo fa paura: nessuna vittima tra le parti civili
di Michela Allegri e Marco Carta
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Giovedì 7 Giugno 2018, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 12:50
Usura, estorsioni, omicidi. E, soprattutto, nessun testimone disposto a parlare. Per i pm funziona così la mafia di Ostia, quella della famiglia Spada. Che continua a incutere terrore malgrado i regimi di massima sicurezza. Nonostante gli arresti che lo scorso gennaio hanno decimato l'organizzazione, infatti, nessuno vuole esporsi, soprattutto le vittime. L'ultima conferma è arrivata ieri, quando al processo contro gli esponenti del clan che si è aperto a Rebibbia, le persone offese non si sono neanche presentate. Sono almeno 15 le vittime individuate dai pm Ilaria Calò e Mario Palazzi. Nessuna si è costituita parte civile contro Roberto e Carmine Spada, e gli altri componenti di quello che, per la procura di Roma, è il clan più potente del litorale. Un segnale chiaro, per gli inquirenti: a Ostia «permangono gravi problemi di sicurezza, un contesto criminale mai placato» e un clima di «intimidazione», hanno detto i pm, replicando alla richiesta dei legali di trasferire i loro assistiti in carceri laziali. Per la Procura, è «indispensabile l'alta sorveglianza cui sono sottoposti la maggior parte dei 24 imputati», sparsi in carceri di tutta l'Italia.

LA MINACCIA
Il caso più clamoroso è quello di Rita D.S., testimone in un processo connesso, quello contro Roberto Spada per la testata a due inviati Rai. Cinque giorni prima di presentarsi in aula davanti al pm Giovanni Musarò, qualcuno a Ostia ha bruciato la roulotte dove vive suo figlio. Risultato: la donna non ha intenzione di farsi vedere in tribunale. Tanto che il pm, per la prossima udienza, ha dovuto disporre l'accompagnamento coatto. Nel maxiprocesso di Rebibbia, Rita è una delle parti lese: Roberto Spada si sarebbe impossessato della casa popolare dove la donna viveva. Nonostante questo, ieri non ha nemmeno fatto capolino nell'aula bunker.

GLI IMPUTATI
In tutto, sul banco degli imputati sono in 24, quasi tutti collegati in videoconferenza dai rispettivi penitenziari e accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, usura, traffico di droga ed estorsione. I vertici del clan sono Carmine Spada, detto «Romoletto» e, appunto, Roberto. Alla sbarra anche vecchie glorie della criminalità romana, come «il Negro», Roberto Pergola, negli anni 70 vicino alla Banda della Magliana. Ieri sono state ammesse fra le parti civili il Comune di Roma, la Regione Lazio, le associazioni Antonino Caponnetto, Libera e Ambulatorio Antiusura onlus.

«Sono quattro cazzari», ha minimizzato l'avvocato Giosuè Bruno Naso, difendendo i suoi tre assistiti. «Ostia deve fare breccia nel muro di omertà», ha detto invece l'avvocato Giulio Vasaturo, legale dell'associazione Libera.
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