La Romanina e i Casamonica: «Comandano ancora in silenzio»

La Romanina e i Casamonica: «Comandano ancora in silenzio»
di Camilla Mozzetti
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Giovedì 19 Luglio 2018, 08:25 - Ultimo aggiornamento: 12:26

«Noi lo chiamiamo aiuto, se un amico viene e ha bisogno, gli diamo una mano». E gli interessi al 40% sul prestito erogato? Non è estorsione? «Ma come si sono messi d'accordo io non lo so». È vestita di nero Sora Maria, a La Romanina la chiamano così quando i residenti la incontrano per strada. Porta il lutto da diversi anni, da quando suo marito, un Casamonica nipote di zio Vittorio, è morto. Capelli raccolti e occhiali da vista. Al collo, un paio di collanine d'oro con ciondoli di corallo. All'anagrafe risponde al nome di Maria Di Silvio. Siede insieme ad un'amica al Roxy bar. La sua amica è Vera Di Silvio, zia di Cristian (il vero nome è Alfredo) e Vincenzo che il giorno di Pasqua misero a ferro e fuoco proprio quel bar nel quale ora ordinano un ginseng. «Hanno sbagliato dice Vera non dovevano farlo, erano ubriachi, stanno pagando ed è giusto».

LE FIGURE FEMMINILI
In prima battuta, quando ci avviciniamo per chiedergli se siano imparentate con la famiglia, rispondono di «no». Poi iniziano a parlare: «Ma quale mafia», dicono. «Siamo una famiglia ma poi ognuno sta a casa sua». Intorno ci sono alcuni cittadini che leggono il giornale e fumano. Ascoltano quelle parole. Non si alzano, non si allontano. Non prendono le distanze. Vera aggiunge: «Nella retata dell'altro giorno hanno arrestato tanti parenti miei, il blocco di Porta Furba» e Sora Maria aggiunge: «qua ognuno se stava a fa' un'attività». Esce il nome di Vulcano, alias Domenico Spada, e poi quello di zio Vittorio «Il funerale? E noi li abbiamo fatti sempre così, c'avemo i cavalli». Si fa riferimento a Luciano Casamonica, quello immortalato in una cena con personaggi illustri della precedente amministrazione comunale «Qualcuno l'avrà invitato», sostengono le donne. C'è una giustificazione per tutto. E intorno non si muove nulla. Vallo a cercare un briciolo di indignazione.

L'INDIFFERENZA
Chi abita qui e non c'entra con i Casamonica, ascolta in silenzio, a volte persino annuisce. Al tavolino più in là mentre la titolare del bar, Roxana, entra ed esce, c'è un signore che sentenzia: «A me non interessa chi sono e che fanno, vivo con 700 euro di pensione, qui non c'è nulla, non c'è un cinema, non c'è un centro di aggregazione e pure è un quartiere tra i più tranquilli di Roma». Perché è controllato dai Casamonica? «No, perché i Casamonica qui ci vivono». E gli affari li fanno altrove. L'operazione coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia, che ha portato all'arresto di 33 persone, lascia i romani del quartiere indifferenti. «Gli chiedono i soldi e loro li hanno prestati? Potevano andare in banca. Perché sono venuti da questi?», dice un altro. Loro, le donne, se ne tornano a casa, con la spesa dell'Ipercarni. «Occhio a quello che scrive avverte Vera perché poi se lo sa mio marito quando esce dal carcere mi ammazza di botte». Intorno si sente solo qualche cicala, le persone chiuse in casa dal citofono rispondono: «A noi non ci interessa, non li conosciamo, e poi se anche fosse?».

«È TUTTO SOTTOTRACCIA»
Solo Marco che alla Romanina non ci vive né ci è nato ma viene qui per lavoro (fa il magazziniere in un negozio di materiali per la sicurezza) racconta la sua: «Fanno parte del tessuto sociale di questo quartiere, anni fa nel negozio ci fu un incidente, alcuni estintori scoppiarono, fecero un gran rumore. Dei Casamonica che ci abitano a fianco, vennero per lamentarsi e pretesero un risarcimento». Una cifra che poi è stata erogata più volte. «Il pizzo aggiunge per un po' è andata avanti così». «È tutto sottotraccia adesso conclude Marco non come negli anni Ottanta quando spadroneggiavano per le strade con macchinoni al seguito, ma non è che se cambi la faccia muta anche la sostanza». Ancora se lo ricorda un episodio in cui rimase coinvolta una sua amica, nel parcheggio del centro commerciale La Romanina. «Questa mia amica andò a sbattere con una delle donne dei Casamonica non aveva colpa quindi chiese di poter fare il cid o concordarsi sul rimborso, la donna fece una telefonata, arrivarono quattro o cinque uomini che dissero alla mia amica: Adesso ti stai zitta, ci paghi il danno e te ne vai. Se non è questa un'intimidazione, io non so come potrei definirla».

 

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