Roma, disabile picchiata dai Casamonica: «Mi davano i calci, nessuno mi aiutava»

Roma, disabile picchiata dai Casamonica: «Mi davano i calci, nessuno mi aiutava»
di Alessia Marani
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Martedì 8 Maggio 2018, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 15:47

Serena (è un nome di fantasia) è un piccolo scricciolo coi capelli corti neri dentro il suo pigiamino verde e bianco. È invalida civile, nove anni fa ha dovuto smettere di lavorare nella farmacia di zona dove faceva la magazziniera per i suoi problemi di salute. Ci fa sedere, vuole raccontare come sono andati i fatti, dire che «non ho paura» ma gridare anche «quanto mi sono sentita sola lì a terra in quel bar, pieno di clienti e dove nessuno che ha mosso un dito per aiutarmi».

Serena come stai adesso?
«Ho passato un mese da incubo. Uno dei due ragazzi, quello più basso e magro, mi ha prima afferrato per il collo poi mi ha sferrato dei calcioni sul fianco sinistro. Ho riportato un versamento ai polmoni, se mi avesse preso il fegato sarei morta. Mi sono fatta tre settimane a letto dopo essere stata in ospedale e un'altra settimana me l'ha data il medico base. Quei due erano reduci dal pranzo di Pasqua, erano ubriachi e forse anche drogati, delle furie».

Che è successo al Roxy bar?
«Erano le 17,45. Io sono entrata subito dopo quei due. Davanti a noi c'erano altre quattro persone a cui Marian, il barista, stava preparando i caffè. Quei coatti hanno cominciato a dire Dacce le sigarette, ce devi servi' prima a noi e hanno cominciato a toccare tutto, gli espositori, le caramelle, le gomme. Poi uno dei due si è girato verso di me e come scherzando mi ha detto 'sti romeni de' mer.... A quel punto gli ho risposto se non ti piacciono i romeni vai a comprare le sigarette da un'altra parte».

A quel punto il finimondo?
«Sì. Il più piccolo è diventato minaccioso, mi diceva bella signora ma che voi?, poi mi ha sfilato gli occhiali da sole da sopra la testa e me li ha lanciati oltre il bancone. Ha fatto il gesto, ma solo il gesto di sfilarsi la cinta, ma non l'ha usata. Mi ha stretto per il collo e preso a calci. Sono caduta a terra, mi ha strappato di mano il telefonino, non chiamare la polizia mi diceva. L'ho rassicurato e pregato di ridarmelo perché ho mamma anziana e si sarebbe preoccupata».

C'era tanta gente?
«Sì, era pieno ma nessuno mi aiutava. Qualcuno forse ha pensato che fossi una di loro perché siamo entrati quasi insieme e non si è impicciato. Solo dopo la moglie del barista si è ricordata chi fossi. C'erano persone anche sedute fuori ai tavolini, io mi sono rialzata da sola».

Chi ha chiamato l'ambulanza?
«Nel frattempo sono uscita fuori e sono salita in macchina. Mi sono allontanata e mi sono nascosta in un posto sicuro ho chiamato la polizia. Intanto al bar era arrivata l'ambulanza perché quelli erano tornati e avevano picchiato pure Marian. Io in ospedale sono andata dopo».

Quando?
«Prima sono passata a casa, mio fratello più grande mi ha accompagnato in commissariato a fare la denuncia. I poliziotti mi hanno consigliato di andare all'ospedale di Frascati e non a Tor Vergata o al Casilino dove quelli là forse potevano raggiungermi. Ci sono stata un giorno ma poi ho firmato per tornare a casa. Non fotografate il palazzo in cui abito, non riprendetemi con le telecamere, non ho paura, non mi faranno niente, ma non si sa mai».

Anche il quartiere l'ha lasciata sola?
«No, perché la voce del raid si è sparsa subito. Per tanti giorni sono rimasta chiusa dentro casa, poi però mi sono detta che dovevo continuare a vivere. Ho 42 anni e nessuno prima mi aveva mai picchiata. Quando gli amici mi hanno abbracciata dopo avere saputo che mi era successo, ho rabbrividito per il contatto fisico. Ora sia fatta giustizia».
 

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