Arse vive nel camper a Roma, viaggio a Centocelle: tra paura, degrado e pietà

Arse vive nel camper a Roma, viaggio a Centocelle: tra paura, degrado e pietà
di Mario Ajello
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Giovedì 11 Maggio 2017, 08:34

Tragedia. Paura. In certi casi, vergogna: «Siamo stati noi?». «Macché, è na cosa che se so' fatti tra di loro». Centocelle, dove tanti dicono di vivere male tra immondizia e rom, non riconosce più se stessa. Pensava di essere migliore di come s'è scoperta guardando quel pezzo di asfalto bruciato, dove fino a poco fa c'era la carcassa del camper con dentro le bimbe e la ragazza arse vive e ora sono rimasti solo i segni della barbarie. Rispetto alla quale si moltiplicano lungo tutta la giornata le prove di sincero dolore in questo che è sempre stato un quartiere di super-sinistra, poi espugnato dai grillini.

Chi porta un fiore, chi un mazzo di rose, chi depone uno striscione con su scritto «Sono morti del quartiere», chi lascia un messaggio («Carissime amiche, mi sento in colpa pure io. Che Dio vi benedica», firmato Nicola), chi si commuove perché «i bambini non si toccano», chi immancabilmente cita la poesia anti-razzista di Bertolt Brecht: «Prima di tutti vennero a prendere gli zingari / e fui contento perché rubacchiavano...»). Ma ci si imbatte anche, girando nei bar e nei ritrovi in questo che è il quartiere in cui è cresciuto Claudio Baglioni a via dei Noci 46 («Tornare indietro ad un incrocio / un quasi bacio e un po' d'imbarazzo / scoppiare a ridere a crepapelle a Centocelle»), in una sorta d'indifferenza quasi indicibile. Ma serpeggiante: «Prima o poi doveva succedere». Una sorta di giustificazione? No, un segno di malessere, uno sfogo che racconta di condizioni di vita, di solitudini e di insicurezze da cittadini abbandonati.

E la signora Vittoria (76 anni) o Augusto un uomo di mezza età seduto sugli scalini che danno su Viale della Primavera o tanti ragazzi parlano di «furti, degrado, minacce, violenze» che sarebbero sempre più frequenti da queste parti. Mentre dicono così, senza ira ma con un senso di frustrazione immeritato, con lo sguardo superano la chiazza del rogo e rivolgono gli occhi oltre il muretto adiacente a dove c'era il camper (e in cui qualche innamorato, tremenda ironia della sorte, aveva scritto con lo spray bianco: «Vita mia, ti voglio bene») in direzione del campo nomadi di via dei Gordiani.

SPAZZATURA
Erano stati anche lì, e ne avevano girati tanti di posti, gli Halilovic. E questa distesa di baracche e di roulotte, sormontata all'ingresso da una montagna di spazzatura che dilaga sulla strada e su cui ieri pomeriggio due piccoli zingari giocavano ad acchiapparella, non lascia tranquillo un bel pezzo della cittadinanza. «Non poteva rimanere lì dentro la famiglia di rom che è finita così male?», ci si chiede. Non potevano proprio restarci gli Halilovic in quel campo, e neppure in altri. Perché questi sono molto spesso degradatissime terre di faide, di guerre, di sangue.

Di violenza tra i vari clan e anche dentro i singoli clan e quello degli Halilovic è di origine bosniaco-montenegrina, quasi più esteso della famiglia Casamonica, diramato da Palermo a Torino, dove è stato sequestrato tempo fa in un container il tesoro del patriarca. E in questo mondo in cui la guerra è guerra, le tre vittime dell'altra notte hanno probabilmente pagato, da innocenti, la furia dell'odio tribale. Comunque questo come gli altri accampamenti è zona franca da ogni controllo igienico e di legalità. Un tempo il Comune metteva all'ingresso di queste aree automobili dei vigili, per fare opera di presidio. Poi però, negli anni di Mafia Capitale, il compito di sentinelle e controllori Salvatore Buzzi lo faceva svolgere agli ex galeotti della sua cooperativa. E «per evitare problemi», lo stesso Buzzi affidò la vigilanza - o la mediazione culturale? - del campo di Castel Romano a alcuni bravi dei Casamonica.

La baraccopoli di via dei Gordiani a suo tempo è stata sgomberata ma poi, come accade di solito, rieccola. E non esistono forze di sicurezza, almeno non c'erano fino a ieri, che si facciano vedere lì fuori. Anche se in uno dei suoi motivi Flavio Giurato, tra i più grandi e più misconosciuti cantautori romani, dice così: «A Centocelle, tu con me / nelle mani della polizia / salite addosso». L'aggressività contro i diversi e gli stranieri, che ormai purtroppo è un sentimento che solo occhi buonisti non vogliono vedere, cresce naturalmente a causa della presenza di pezzi di città destinati ad accampamenti incontrollati.

E ieri mentre un signore con al collo il fazzoletto dell'Anpi - «Mio padre era partigiano, mia madre era staffetta e io mi chiamo Silvio Marconi» - indicava anche lui nei razzisti gli autori del rogo disumano, stavano seduti sul muretto a pochi metri di distanza dal luogo dell'eccidio due ragazzi e una ragazza poco più che ventenni. Non sembrano affatto degli sbandati - uno è impiegato, l'altro elettricista e lei estetista - ma delle persone che parlano così: «Che cosa penso di quello che è successo? Forza Roma!». Oddio. Poi uno di loro spiega il sarcasmo: «Non mi ha colpito l'uccisione di quelle persone, erano zingari, qualcosa di male dovevano aver fatto». Sui social divampano intanto grida barbare del tipo: «Viva il fuoco purificatore».

LA SCUOLA
Ma a Centocelle non è questo l'umore dominante. Si tratta di un quartiere che si fa vanto della propria cultura dell'accoglienza. E dall'altra parte della piazza dove stava il camper, c'è una scuola presa a modello da tutti, anche nel resto di Roma, per l'insegnamento e per l'integrazione. Il capolavoro di una preside amatissima scomparsa da poco, Simonetta Salacone, e intitolata a Iqbal Mashi, il bimbo pakistano simbolo della ribellione contro il lavoro minorile. Centocelle vuole restare quella lì, ma con l'orrore in casa diventa tutto più difficile.

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