In particolare, il maxiprocesso, davanti alla III Corte d'appello presieduta da Cecilia Demma, vedeva contestati reati che, a vario titolo e secondo le rispettive posizioni, andavano dall'associazione mafiosa, a quella finalizzata al traffico illecito di droga, e ancora estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce.
I CONDANNATI - In primo grado furono pronunciate condanne per oltre 300 anni complessivi di reclusione, otto, invece, le assoluzioni. Oggi, alcune modifiche di pena sono state motivate con assoluzioni o prescrizioni parziali. Le condanne più alte sono state inflitte a Domenico Pagnozzi (confermati i 30 anni inflitti in primo grado), Massimiliano Colagrande (24 anni), Antonino Calì (21 anni), Stefano Fedeli (18 anni e 11 mesi), Marco De Rosa (18 anni e 10 mesi), Marco Pittaccio (16 anni e 8 mesi) e Claudio Celano (14 anni). Tutte le altre sono ricomprese tra poco più di 9 anni e poco più di 4 anni.
LA VICENDA - Il processo nacque dagli esiti di una maxi inchiesta che, nel 2015, portò gli inquirenti a ritenere di avere smantellato un'organizzazione per delinquere di matrice camorristica, operante nella zona sud-est di Roma, impegnata in varie attività illecite e capeggiata da Pagnozzi.
Il gruppo, caratterizzato dall'integrazione tra persone di origini campane e romane, avrebbe gestito lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale. Durante le indagini, sarebbero emersi anche episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. Per gli inquirenti, l'organizzazione avrebbe voluto monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machine in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà.
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