LEGGE FALLIMENTARE
La situazione finanziaria della partecipata dei trasporti è talmente grave che lo stesso Rota, in diverse riunioni riservate, aveva chiesto alla giunta M5S di accedere alla procedura fallimentare. Non per dichiarare default, ma per chiedere il «concordato preventivo in continuità aziendale», l'unico modo per salvare la più grande partecipata dei trasporti pubblici d'Italia. Con un commissario nominato dal Tribunale per gestire un debito ormai vicino a 1,4 miliardi di euro.
Con il concordato preventivo, Atac avrebbe potuto proseguire l'attività nonostante lo stato di crisi. E in base alla legge fallimentare, avrebbe potuto ristrutturare i propri debiti presentando un piano per soddisfare i creditori anche attraverso operazioni straordinarie o attraverso la cessione di cespiti. In sostanza, Atac avrebbe potuto attingere dal suo patrimonio immobiliare in disuso, da vecchi depositi e terreni ritenuti non più funzionali, che valgono almeno 90 milioni di euro.
È chiaro che per sfruttare la legge fallimentare, Atac dovrebbe presentare al Tribunale un piano lacrime e sangue, che passerebbe dall'abbattimento del tasso di assenteismo record dei dipendenti, che supera il 12%, contro il 6,8% che si registra per esempio all'Atm di Milano. Rota aveva buttato giù un piano che, secondo alcune fonti, avrebbe previsto anche degli esuberi. A bloccarlo una parte del M5S, che in Atac ha avuto un importante bacino elettorale alle ultime comunali. Da qui è nato lo scontro tra il manager milanese e l'assessore ai Trasporti, Linda Meleo, e il presidente della Commissione comunale Mobilità, Enrico Stefano. Fino alle dimissioni presentate il 21 luglio, perché il piano industriale consegnato a fine giugno alla sindaca non era ancora stato approvato dai Cinquestelle.
In teoria avrebbe dovuto essere votato, insieme al bilancio, dall'assemblea dei soci convocata ieri. Ma la seduta è andata deserta. La prossima convocazione è per lunedì. Va coperta intanto la poltrona lasciata libera da Rota. In Campidoglio circolano i nomi di Alberto Ramaglia e di Carlo Pino, entrambi dimissionari dall'Anm di Napoli, e di Giancarlo Schisano, ex direttore operativo di Alitalia. Raggi, dicono i fedelissimi, ha deciso di accelerare, per non dare l'idea dello stallo in un momento di crisi. Per questo non ci sarà un'altra selezione. Il nuovo diggì, trapela da Palazzo Senatorio, dovrebbe essere nominato già la prossima settimana.