Atac, c'è anche il piano B: fallimento stile Alitalia

Atac, c'è anche il piano B: fallimento stile Alitalia
di Sara Menafra
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Giovedì 7 Giugno 2018, 08:10
L'azienda dei trasporti pubblici della capitale vale 1,5 miliardi di euro se si considerano tutti i beni che possiede, inclusi tutti quelli che sono passati nella sua pancia quando da ente di diritto pubblico è diventata un privato ma completamente controllato dal Comune. Ma se fosse messa sul mercato dopo il fallimento, un acquirente non sarebbe disposto a versare, per averla, più di 207 milioni. Tutto il resto dovrebbe essere messo sul mercato a prezzi fortemente ribassati, col rischio che per ottenerne qualcosa passino anni, almeno dieci e, in ogni caso, non se ne ricaverebbe più di circa 630 milioni di euro. Una situazione paragonabile solo al fallimento di Alitalia, scrive l'azienda del trasporto romano, che è ancora in tribunale e non ha mai rimborsato i creditori «chirografari».

Nel proporre al tribunale fallimentare e alla procura di Roma il concordato preventivo come migliore delle soluzioni possibili, Atac ha dovuto spiegare - meglio rispetto al documento presentato a febbraio - perché questa strada è la più solida dal punto di vista dei circa 14mila creditori dell'azienda del trasporto pubblico. Ed è proprio su questo punto, al di là dei chiarimenti contenuti nel nuovo piano, che ora piazzale Clodio sta soppesando il proprio parere, decisivo per salvare l'azienda dal fallimento.

I COSTI
Come spiega la nota dell'avvocato Giampaolino, «Atac ha costi mensili complessivi per circa 70 milioni nei periodi non estivi (di cui euro 45 milioni di costi per il personale)». Ha poi un enorme patrimonio, tanto che i singoli beni strumentali, risultano avere un «valore teorico di subentro complessivo» pari a circa 1,5 miliardi. Visto, però, che il nuovo acquirente post fallimento non potrebbe essere obbligato a comprare tutto e il contratto di servizio non attribuisce al gestore uscente un diritto di opzione a vendere i beni che in parte ha ricevuto in quanto ex ente pubblico, una volta fallita e messa sul mercato l'azienda capitolina avrebbe un valore molto più basso. Le stime vengono calcolate con due sistemi diversi: si va dai 206,7 milioni, «ovvero Euro 106,9 milioni quale componente di valore della Società nel periodo esplicito ed Euro 99,8 milioni quale la componente di valore del Terminal Value nell'ipotesi di rinnovo» a 158,8 milioni. Nessun acquirente, dicono i consulenti sarebbe disposto a versare un prezzo maggiore di questo.

A questa cifra potrebbero aggiungersi le azioni revocatorie: ad esempio «Euro 55 milioni incassati dal Pool di banche nel periodo maggio-agosto 2017 secondo quanto previsto nel piano di ammortamento del finanziamento». E i flussi di cassa generati dall'azienda in continuità prima del subentro del terzo, ipotizziamo fino al 2020. Anche su questo punto viene allegata una perizia del professor Staffa: non si guadagnerebbe più di 109,4 milioni. Insomma, «il totale attivo realizzabile in procedura liquidatoria è stimato in un arco compreso tra Euro 636,5 milioni ed Euro 620,7 milioni».
I soldi da distribuire saranno di meno, aggiungono da Atac, e ci vorrà anche molto più tempo per iniziare a distribuirli: «Considerando i tempi delle opposizioni, si può stimare in non meno di 10-11 anni il passaggio in giudicato dello stato passivo (2028-2029) e quindi la possibilità teorica di distribuire integralmente il ricavato della liquidazione». L'unico caso analogo, per numero di creditori, è quello di Alitalia, si legge nei documenti. E lo scenario è fosco: la procedura del 2008 è ancora sub judice, con 200 impugnazioni. E l'azienda non ha rimborsato nessuno dei creditori chirografari (in sostanza tutti i fornitori e le banche, esclusi i lavoratori dipendenti). Se il piano passa, assicurano, ci sarà un immediato flusso di 546,7 milioni, i chirografari riceveranno il 31% del credito e per il resto riceveranno un bond emesso dalla stessa Atac. Ora bisognerà vedere se la procura deciderà di credergli.
 
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