Sesso, bugie e display. Eccoli, gli autisti dell’Atac, alla luce degli ultimi fatti di cronaca.
Non parlate al conducente perché è troppo impegnato a farsi massaggiare da una piacente signorina mentre guida (senza accorgersi, ingenuo, che un passeggero sta riprendendo con il telefonino e in breve la prestazione straordinaria finirà in rete, è successo sei mesi fa); non parlate al conducente perché sta litigando al cellulare con la fidanzata, s’infuria e lascia a piedi i passeggeri (no, non era lo stesso autista e neppure la stessa signorina, però anche questo è accaduto sul serio, sette mesi fa); anzi, lasciate proprio perdere l’autista dell’Atac perché, porello, è a casa malato e ha mandato il certificato, però se volete alla sera potete ascoltarlo cantare in qualche locale dei Castelli in un concerto a base di brani del Califfo (anche questa non è una storia tratta da un film Verdone, ma è un caso reale, di due mesi fa). Infine, non parlate al conducente perché spesso è impegnato a scrivere qualche frase fuori ordinanza sui display dei bus, da «Lucia ti amo» o «Daje Roma» (e qui c’è una sfilza di foto negli archivi dei giornali).
Ma che sta succedendo agli autisti dei bus dell’Atac? Un tempo al massimo si facevano sorprendere mentre con una mano guidavano il bisonte, con l’altra parlavano al cellulare o addirittura inviavano sms (dimostrando anche qui molta ingenuità, perché nell’era delle foto con gli smartphone è scientifico che poi finisci su Internet).
Forse bisognerà concludere che gli autisti Atac, lassù, ben in vista al volante del bus, sono lo specchio neanche tanto deformante di una città sempre più isterica e lontana dal rispetto delle regole nelle espressioni più estreme, ma per fortuna onesta e generosa nella media. Una media, però, che si sta pericolosamente abbassando a causa delle punte dell’iceberg.