IL DOLORE
Antonietta si è spenta pochi giorni fa e la serranda della gelateria si è abbassata prima dell'abituale fermo di stagione a sottolinearne la mancanza. «Mamma era piccola piccola ma un gigante», ricordano le figlie Cristina e Ida. «Amava il suo lavoro, diceva sempre: quando sei depresso, vai a lavorare. Rimaneva in gelateria fino alle 2 del mattino. I tassisti lo sanno bene, la sua era l'ultima chiamata dei commercianti di zona». Da sempre. Originaria di Caserta, era arrivata a Roma nel 1956 con la famiglia, che nella Capitale aveva aperto diversi bar. In quello di suo padre, in corso Vittorio Emanuele, proprio l'anno del suo arrivo in città, aveva conosciuto l'uomo che avrebbe sposato, nato ad Alessandria d'Egitto, che a Roma sarebbe dovuto essere solo di passaggio - doveva raggiungere i parenti in Australia - e che invece con lei e per lei si era fermato. Dell'Australia, però, Antonietta parlava spesso, con i clienti, pure noti, che, sin dagli anni Sessanta, affollavano la gelateria.
LA CLIENTELA
Uno dei più affezionati era Marco Pannella, che nel libro «Una libertà felice», scrive della «adorata Antonietta Cecere, una bimba napoletana che ha iniziato a vendere il gelato più buono di Roma, qui vicino, all'incirca quando io ho iniziato a occuparmi di politica». Poi, Sandro Pertini, che nel suo locale ha festeggiato il secondo scudetto della Roma, e Domenico Modugno. Da lei però andavano anche gli invisibili. «Si occupava di molti barboni della zona, aveva sempre un soldino, un piatto di pasta, un gelato, qualche abito smesso». E amava viaggiare. «Quando chiudeva - concludono le figlie si godeva tre mesi all'estero. Prima di morire, progettava di andare in Australia e in India».
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