Roma, la piazza dei "pacifisti" dimentica Putin e grida solo contro la Nato. Contestato Letta

Gli organizzatori del corteo per la pace: «Siamo 100mila, basta armi all’Ucraina». Il presidente M5S infiamma la folla Letta contestato: «Guerrafondaio»

Pace, in piazza contro la Nato il protagonista è Conte. Imbarazzo e fischi per il Pd
di Mario Ajello
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Domenica 6 Novembre 2022, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 09:55

La guerra è brutta, la pace è bella. Questo il senso della manifestazione rosso-arcobaleno. E su tutto il resto, si sorvola. Su oltre 100mila persone, solo un paio di trotzkisti portano sulle spalle un cartello con su scritto: «Fuori la Russia dal Donbass, evviva l’Ucraina libera e indipendente». Per il resto in questa grande adunata, in cui Conte viene trattato come Gandhi o come Berlinguer mentre i dem intristiti marciano poco convinti insieme a Enrico Letta e magari preferirebbero stare all’evento pro-Ucraina di Milano ma devono stare qui a marcare il territorio della sinistra pacifista sennò il leader M5S se lo mangia tutto, pende più a favore di Putin (ignorato negli slogan e nei cartelli come se la guerra si fosse scatenata da sola) che a sostegno degli aggrediti. Ma soprattutto: anti-americanismo come tratto dominante del corteo concluso a piazza San Giovanni. 

E’ la Nato, negli striscioni e negli slogan, l’obiettivo polemico di questo popolo arcobaleno.

E l’imbarazzo di Letta è evidente: «Vanno bene tutte le piazze, basta che non ci sia equidistanza», così dice il segretario Pd. Peccato che qui non solo manchi l’equidistanza ma c’è una partigianeria riassunta da questo cartello, simile a tanti altri, portato da un militante di Rifondazione Comunista: «No all’invio delle armi all’Ucraina. Basta sanzioni alla Russia». Se ci fosse in piazza Salvini, sottoscriverebbe. Il diavolo non è Putin ma la Nato. E la contraddizione che grava su questo popolo italo-pacifista e catto-comunista è enorme: come si può avere una pace che non sia una resa, se non bisogna più aiutare gli ucraini a difendersi? Guai a porre questo dubbio a Conte - acclamato mentre sfila con l’Anpi e mentre regge uno striscione gialloblù dove però manca un cenno di solidarietà all’Ucraina - il cui partito ha votato a favore dell’invio di armi da parte del governo Draghi ma adesso ha platealmente cambiato posizione: «L’esecutivo Meloni e Crosetto non si azzardino a mandare altre armi all’Ucraina». «Bravo Giuseppe!», gli grida la folla e lui gode ad essere trattato come un partigiano (sta appunto insieme a quelli dell’Anpi) ma non un partigiano filo-Ucraina. 

Il segretario del Pd e il capo M5S non si incrociano. L’Enrico - soprannominato dai pacifisti “Baio-Letta” cioè baionetta in quanto visto come una sorta di soldato yankee - fa quasi tenerezza perché vuole stare in questa piazza, insieme ai massimi dirigenti dem, ma è chiaro che non sia questa la sua tazza di thé. Prima che arrivasse il leader Pd, due giovani manifestanti, nello spezzone di corteo degli studenti medi, parlottano così: «Ho portato un pomodoro», «Te lo mangi?», «No, lo tiro a quel guerrafondaio di Letta appena lo vedo». Per fortuna, Letta si fa vedere il meno possibile e lo spezzone dei capi Pd - Orfini, Provenzano, Serracchiani, Fassino, Cuperlo, Verini con mascherina rosso-blù e altri - è stretto tra quello delle Acli e quello della comunità di Sant’Egidio e auto-ironizza un parlamentare dem: «In mezzo a questi cattoliconi bonari non corriamo rischi. Gli altri magari ce menano». Macché, solo mini-contestazione a Letta. Due tizi gli urlano: «Guarrafondaio, filo-americano, vattene a casa». Ma altri lo difendono: «State zitti, non lo offendete». E altri però: «Mandiamo Letta in prima linea con Calenda». 

 

Il vintage

Una mezza sorpresa: nessuno, a parte un centinaio di ucraini per lo più donne, sventola bandiere del Paese invaso. Una sorpresa intera: Giorgia Meloni non viene mostrificata, il governo della destra non è il bersaglio polemico della piazza (lo sono quasi più i «guerrafondai» di sinistra o Calenda di cui Conte dice: «Non ho capito se è per la pace o per la guerra»), mancano riferimenti al fascismo e all’anti-fascismo e gli unici accenni al melonismo si vedono nel cartello «Non sono Fratelli d’Italia, sono servi della Nato» e in altri due o tre di tipo sarcastico: «Peace Rave, semo più de 50». Altro sfottò quando arriva Alemanno, a sua volta iper-pacifista ma di destra: «Compagno Alemanno, a noi!». Dal palco don Ciotti, più di Landini e di Riccardi, infiamma la piazza, forse perché la pace qui assume più che altro un valore morale e religioso e la guerra sembra un’entità astratta (nessuno ha portato le foto delle fosse comuni di Bucha o altre immagini dell’orrore in corso a poche miglia di chilometri da noi). E comunque, è tutta colpa dell’Occidente: «Nato uguale guerra», «Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia» (qui siamo al vintage anni ‘70). Questo il vero mood degli italo-pacifisti. E nessuno grida contro Putin, forse perché è solo un compagno che sbaglia.

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