La guerra è brutta, la pace è bella. Questo il senso della manifestazione rosso-arcobaleno. E su tutto il resto, si sorvola. Su oltre 100mila persone, solo un paio di trotzkisti portano sulle spalle un cartello con su scritto: «Fuori la Russia dal Donbass, evviva l’Ucraina libera e indipendente». Per il resto in questa grande adunata, in cui Conte viene trattato come Gandhi o come Berlinguer mentre i dem intristiti marciano poco convinti insieme a Enrico Letta e magari preferirebbero stare all’evento pro-Ucraina di Milano ma devono stare qui a marcare il territorio della sinistra pacifista sennò il leader M5S se lo mangia tutto, pende più a favore di Putin (ignorato negli slogan e nei cartelli come se la guerra si fosse scatenata da sola) che a sostegno degli aggrediti. Ma soprattutto: anti-americanismo come tratto dominante del corteo concluso a piazza San Giovanni.
E’ la Nato, negli striscioni e negli slogan, l’obiettivo polemico di questo popolo arcobaleno.
Il segretario del Pd e il capo M5S non si incrociano. L’Enrico - soprannominato dai pacifisti “Baio-Letta” cioè baionetta in quanto visto come una sorta di soldato yankee - fa quasi tenerezza perché vuole stare in questa piazza, insieme ai massimi dirigenti dem, ma è chiaro che non sia questa la sua tazza di thé. Prima che arrivasse il leader Pd, due giovani manifestanti, nello spezzone di corteo degli studenti medi, parlottano così: «Ho portato un pomodoro», «Te lo mangi?», «No, lo tiro a quel guerrafondaio di Letta appena lo vedo». Per fortuna, Letta si fa vedere il meno possibile e lo spezzone dei capi Pd - Orfini, Provenzano, Serracchiani, Fassino, Cuperlo, Verini con mascherina rosso-blù e altri - è stretto tra quello delle Acli e quello della comunità di Sant’Egidio e auto-ironizza un parlamentare dem: «In mezzo a questi cattoliconi bonari non corriamo rischi. Gli altri magari ce menano». Macché, solo mini-contestazione a Letta. Due tizi gli urlano: «Guarrafondaio, filo-americano, vattene a casa». Ma altri lo difendono: «State zitti, non lo offendete». E altri però: «Mandiamo Letta in prima linea con Calenda».
Il vintage
Una mezza sorpresa: nessuno, a parte un centinaio di ucraini per lo più donne, sventola bandiere del Paese invaso. Una sorpresa intera: Giorgia Meloni non viene mostrificata, il governo della destra non è il bersaglio polemico della piazza (lo sono quasi più i «guerrafondai» di sinistra o Calenda di cui Conte dice: «Non ho capito se è per la pace o per la guerra»), mancano riferimenti al fascismo e all’anti-fascismo e gli unici accenni al melonismo si vedono nel cartello «Non sono Fratelli d’Italia, sono servi della Nato» e in altri due o tre di tipo sarcastico: «Peace Rave, semo più de 50». Altro sfottò quando arriva Alemanno, a sua volta iper-pacifista ma di destra: «Compagno Alemanno, a noi!». Dal palco don Ciotti, più di Landini e di Riccardi, infiamma la piazza, forse perché la pace qui assume più che altro un valore morale e religioso e la guerra sembra un’entità astratta (nessuno ha portato le foto delle fosse comuni di Bucha o altre immagini dell’orrore in corso a poche miglia di chilometri da noi). E comunque, è tutta colpa dell’Occidente: «Nato uguale guerra», «Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia» (qui siamo al vintage anni ‘70). Questo il vero mood degli italo-pacifisti. E nessuno grida contro Putin, forse perché è solo un compagno che sbaglia.