Gli effetti sulla città/ Ma quel fardello grava su Roma

di Mario Ajello
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Venerdì 29 Settembre 2017, 00:14
Un macigno, politico sui 5 stelle. E amministrativo, oltre che giudiziario, su Virginia Raggi. Un macigno, soprattutto, per Roma e per i romani. I quali non potranno che essere sottoposti a una nuova dose di stress mediatico - Roma che ogni volta ridiventa il caso Roma e viene scaraventata sul proscenio nazionale con un alone di negatività - e subire un aggravio di quel deficit amministrativo che lamentano da tempo. Perché è ovvio, e anche umanamente comprensibile, che un sindaco costretto a dividersi tra Campidoglio e Tribunale non trovi la serenità e la lucidità necessarie sulle cose della città, che sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili fra continui annunci e ripetute false partenze. 

La richiesta di rinvio a giudizio per la Raggi rende assai più problematica e sdrucciolevole la campagna elettorale del partito di Grillo. La cui vetrina, anche se cercano di nasconderla, è proprio Roma e la tegola caduta sulla Raggi può complicare la marcia di avvicinamento dei pentastellati a Palazzo Chigi. L’ombra su quella che è al momento la figura istituzionale più importante del grillismo, e il suo volto più conosciuto anche a livello internazionale, sta sortendo il primo effetto. Quello di togliere quello smalto legalitario e manipulitista che ha finora procurato successi a un movimento che - prima della pseudo-svolta garantista ad personam o ad personas e più per necessità di difendere i propri che per convinzione di difendere tutti - parlava così per bocca dell’attuale candidato premier, Di Maio: “La presunzione d’innocenza non deve valere per i politici”. Una campagna elettorale in cui le immagini dei comizi in piazza e dei normali scontri politici si potrebbero alternare e intersecare nelle tivvù con le scene del processo alla Raggi sarebbe un calvario. Difficile da sopportare per quella parte politica che ha fatto dell’eticità, sia pure a corrente alternata, il proprio marchio di fabbrica e che ancora l’altra sera - durante l’incoronazione di Di Maio alla festa di Rimini - faceva gridare alla sua folla: “Onestà-onestà-onestà”. 

Le nemesi contenute in questa storia sono evidentissime. L’amministrazione Raggi che doveva essere “il nuovo”, doveva incarnare “la discontinuità”, doveva spezzare l’ancien régime delle opacità e delle malversazioni dei poteri marci, si trova ora clamorosamente incasellabile nella categoria di quel “vecchio” che si era riproposta di cancellare come sistema e come immagine, anche cavalcando la questione morale. La sindaca del cambiamento, che avrebbe dovuto ripulire la scena dalle questioni legate a procure e tribunali, finisce così per rientrare nello scomodo ruolo dell’indagata.

La richiesta di rinvio a giudizio non è il rinvio a giudizio e chi ama Roma non può che augurarsi che la Raggi alla fine esca bene da questa storia giudiziaria. Causata, nella migliore delle ipotesi, da un approccio dilettantesco a questioni molto tecniche di gestione della macchina comunale, che avrebbero richiesto ben altra esperienza. Ma il danno che i romani stanno pagando e pagheranno a causa di tutta questa vicenda è schiacciante più delle zavorra che grava sui 5 stelle e della zavorra che rischia di rendere la Raggi e la sua giunta ancora più deboli. Roma, per colpe non sue, ritorna dentro un occhio del ciclone che è quello che impedisce alla Raggi di guardare da vicino, con attenzione millimetrica e senza distrazioni, tutto quell’insieme di problemi piccoli e grandi di questa città e dei suoi cittadini. I quali non meritano niente di ciò che sta accadendo. E vedono allontanarsi sempre di più quella stabilità, serenità e chiarezza nelle urgenti scelte di governo, di cui loro e la loro città hanno estremo bisogno e fanno disperata richiesta. 
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