Raggi assolta: «Due anni di fango, avanti a testa alta». Poi twitta: «Non ho pianto»

Raggi e l'attesa sentenza: «Se condannata mi sfogo in un video e vado via in due ore»
di Michela Allegri, Simone Canettieri, Sara Menafra
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Sabato 10 Novembre 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 09:11

Virginia Raggi è stata assolta nell'ambito del processo che vedeva la sindaca di Roma imputata per falso in relazione alla nomina di Renato Marra a capo della direzione Turismo. Il pm aveva chiesto una condanna a 10 mesi perché nella nomina di Renato Marra, secondo la tesi accusatoria, il fratello Raffaele «ci ha messo una manina, e Raggi sapeva». Alla lettura della sentenza il sindaco è scoppiato in lacrime.

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Il falso del quale era accusata Virginia Raggi «non costituisce reato». È quanto ha detto il giudice Roberto Ranazzi durante la lettura della sentenza. Applausi in aula per l'assoluzione della sindaca. Alla lettura del verdetto il sindaco si è commossa ed è corsa ad abbracciare gli avvocati e il marito.

 

 

Il sindaco Raggi. «Questa sentenza spazza via due anni di fango. Andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia amata città, e per tutti i cittadini», ha commentato Virginia Raggi dopo la sentenza di assoluzione. Dopo l'emozione per essere stata assolta Virginia Raggi ha stretto la mano al giudice Roberto Ranazzi e al pm Francesco dall'Olio.

«Per i miei cittadini sono andata avanti a testa alta. Ho fatto tutto con correttezza e trasparenza nell'interesse di Roma. Umanamente è stata una prova durissima ma non ho mai mollato. Credo in quel che faccio, nel lavoro, nell'impegno costante, nel progetto che nel 2016 mi ha portata alla guida della città che amo. Un progetto che può andare con maggiore determinazione»

Su facebook il sindaco pubblica un messaggio più ampio: «Assolta.
Con questa parola il Tribunale di Roma, che ringrazio e rispetto per il lavoro svolto, ha messo fine a due anni in cui sono stata mediaticamente e politicamente colpita con una violenza inaudita e con una ferocia ingiustificata». Così la sindaca di Roma, Virginia Raggi, in un post su Facebook dopo la sentenza di assoluzione. «Due anni durante i quali, però, non ho mai smesso di lavorare A TESTA ALTA per i miei cittadini. Li ringrazio per il sostegno e l'affetto che mi hanno dimostrato». «Per i miei cittadini in questi due anni sono andata avanti. A testa alta. Ho fatto tutto - sottolinea - con correttezza e trasparenza nell'interesse di Roma, perseguendo gli ideali di giustizia nei quali credo fermamente. In questo momento ho mille pensieri ed idee che vorrei condividere. Umanamente è stata una prova durissima ma non ho mai mollato. Credo in quel che faccio; credo nel lavoro, nell'impegno costante, nel progetto che nel 2016 mi ha portato alla guida della città che amo follemente. Un progetto che finalmente può andare avanti con maggiore determinazione».

 

«Vorrei liberarmi in un solo momento del fango che hanno prodotto per screditarmi, delle accuse ingiuriose, dei sorrisetti falsi che mi hanno rivolto, delle allusioni, delle volgarità, degli attacchi personali che hanno colpito anche la mia famiglia. Vorrei, soprattutto, che questo fosse un riscatto per tutti i romani, di qualsiasi appartenenza politica, perché il loro sindaco ce la sta mettendo tutta per far risorgere la nostra città. Non provo rancore - prosegue la sindaca - nei confronti di nessuno. Mi auguro che quanto accaduto a me possa divenire una occasione per riflettere: il dibattito politico non deve trasformarsi in odio. Adesso vorrei che i cittadini, tutti, collaborassero alla rinascita di Roma. Rimbocchiamoci le maniche: da domani si torna al lavoro. Ancora più forti. Ringrazio i miei avvocati Pier Francesco Bruno, Emiliano Fasulo e Alessandro Mancori, i giudici e la procura per il lavoro svolto».

Il vicepremier Di Maio. «Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te». Così il vicepremier Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, commenta a caldo l'assoluzione di Virginia raggi su Fb.


«Il peggio in questa vicenda - continua Di Maio - lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, che ogni giorno per due anni, con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi».

Il pubblico ministero. «Attendiamo le motivazioni della sentenza per un eventuale appello». È quanto afferma invece il pm Francesco dall'Olio commentando la sentenza di assoluzione.

Ecco le tappe principali dell' "affaire" Raggi 
- 9 gennaio 2017: la sindaca è ufficialmente indagata. La Procura di Roma le contesta le nomine di Renato Marra, fratello di quello che allora è il suo braccio destro, da vicecapo della polizia municipale alla Direzione Turismo del Campidoglio, e quella di Salvatore Romeo che da funzionario comunale viene promosso a capo della segreteria con un aumento di stipendio che passa da 39mila a 120mila euro l'anno. Le accuse per la sindaca sono falso e abuso d'ufficio per la vicenda Marra mentre per il caso Romeo c'è solo quella di abuso d'ufficio (in concorso con Romeo). Secondo i pm, la sindaca avrebbe mentito all'Anticorruzione del Comune sulla nomina di Marra dicendo che nella nomina del fratello ebbe una funzione di «mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie di valutazioni e decisionali».

- 2 febbraio 2017: la sindaca Raggi viene interrogata per quasi 9 ore in un ufficio del Polo Tuscolano della Polizia di Stato e respinge tutte le accuse.

- 8 febbraio 2017: pochi giorni dopo è la volta di Salvatore Romeo, che in un lungo interrogatorio terminato a notte fonda, deve chiarire la questione di alcune polizze vita da lui stipulate nel 2016 e intestate alla Raggi già prima dell'elezione a sindaca della Capitale

- 14 febbraio 2017: questa volta rispondere alle domande dei pm tocca a Raffaele Marra che però decide di non rispondere rimandando le sue dichiarazioni a fine indagine

- 20 giugno 2017: il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall'Olio depositano gli atti e per la sindaca si prospetta il rinvio a giudizio: per la nomina di Marra viene chiesta l'archiviazione dell'abuso di ufficio e resta solo l'accusa di falso mentre per quella di Romeo gli inquirenti procedono per abuso di ufficio. - 13 luglio 2017: la sindaca si sottopone all'interrogatorio dopo che le è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini e conferma di aver agito in tutta correttezza

- 28 settembre 2017: la Procura chiede il rinvio a giudizio per Virginia Raggi per falso in merito alla nomina di Marra mentre viene chiesta l'archiviazione per la vicenda Romeo

- 3 gennaio 2018: la sindaca chiede a sorpresa il giudizio immediato, una decisione che le permetterà di saltare l'udienza preliminare e di comparire in aula solo dopo il 4 marzo, data delle elezioni politiche

- 5 gennaio 2018: il tribunale di Roma accoglie la richiesta di giudizio immediato per la sindaca e fissa la prima udienza per il 21 giugno

- 21 giugno 2018: si apre il processo che vede Raggi accusata di falso documentale in merito alla nomina a capo del dipartimento Turismo del Campidoglio di Renato Marra, fratello di Raffaele Marra, suo ex braccio destro e accusato di abuso d'ufficio. La prima cittadina non è in aula

- 18 luglio 2018: nel giorno del 40esimo compleanno della Raggi, che questa volta è presente in aula, viene chiamata a testimoniare la vice responsabile dell'Anticorruzione del Comune, Mariarosa Turchi, che a sua volta aveva ricevuto una segnalazione dell'Anac. «Alla luce, di quanto successo e della nota Anac, oggi devo rivedere la mia posizione - afferma Turchi - credo che sarebbe stato meglio evitare da prima qualunque tipo di implicazione possibile, con situazioni di possibili conflitti di interessi derivanti da eventuali poteri discrezionali, anche perché le cautele, sul fronte anticorruzione, non sono mai sufficienti». Quanto alla replica della sindaca, che difese la nomina di Renato Marra definendo il ruolo del fratello Raffaele come di «mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali», la responsabile dell'Anticorruzione in Campidoglio sottolinea: «Non avevo motivo di dubitare delle parole della sindaca»

- 24 luglio 2018: viene chiamato a testimoniare Antonio De Santis, dal settembre del 2016 delegato del sindaco al Personale, che davanti al giudice dice che fu Raffaele Marra, allora capo del Personale, a fare il nome di suo fratello Renato tra coloro che erano in lizza per una promozione durante la riunione del 26 ottobre del 2016, mentre era ancora in corso la presentazione delle candidature dei dirigenti interessati all'interpello, i cui termini sarebbero scaduti dopo pochissime ore. Alla riunione era presente anche l'allora assessore al commercio Adriano Meloni e Leonardo Costanzo, capo staff di Meloni

- 5 ottobre 2018: come testimone viene sentito l'assessore capitolino allo Sport Daniele Frongia, che all'epoca dei fatti ricopriva l'incarico di vicesindaco e che in aula spiega di non aver mai parlato di Renato Marra con la sindaca prima della nomina. «A lei spettava la decisione finale in relazione alla nomina di qualsiasi dirigente - dice - Inevitabilmente finiva per accontentare qualcuno e scontentare altri»

- 19 ottobre 2018: viene chiamata in aula a testimoniare Maurizia Quattrone, Commissario Capo della Squadra Mobile di Roma e responsabile dell'anticorruzione, la quale riferisce che in base alle indagini si è «potuto accertare che Raffaele Marra ha avuto un ruolo attivo e sostanziale e non meramente compilativo nella procedura di interpello, e non ha svolto un ruolo di mero passacarte» nella decisione sugli incarichi dirigenziali in Campidoglio

- 25 ottobre 2018: è il giorno dell'interrogatorio in aula della sindaca Virginia Raggi e a condurre l'esame davanti al giudice monocratico c'è il procuratore aggiunto Paolo Ielo che ha coordinato le indagini. La prima cittadina ribadisce che «nella nomina di Renato Marra, il fratello Raffaele non ha avuto alcun potere discrezionale. Si è limitato ad eseguire una mia direttiva nell'ambito della procedura di interpello per i nuovi dirigenti. Il suo fu un ruolo compilativo». La sindaca riferisce inoltre «di avere saputo solo dopo,» quando «sono stata interrogata in procura, della riunione fra l'assessore Adriano Meloni e il responsabile del personale Antonio De Santis in cui Raffaele Marra fece il nome del fratello Renato. Devo dire però che Meloni si prese subito la paternità della scelta di Renato Marra e la difese anche dopo che il caso finì all'attenzione della stampa»

- 9 novembre 2018: alla vigilia del verdetto per la sindaca, il procuratore aggiunto Paolo Ielo chiede una condanna a 10 mesi con la concessione delle attenuanti generiche. Per la Procura, «Marra ci ha messo la manina ma la sindaca sapeva» e Raggi avrebbe mentito sulla nomina di Renato Marra per due motivi: da un lato per proteggere il fratello Raffaele, capo del personale e «uomo-macchina» fondamentale per il funzionamento dell'amministrazione capitolina e dall'altro per non rischiare di essere indagata e quindi, secondo le regole del codice etico M5S in vigore nel 2016, doversi dimettere. «Questo spiega il movente di quel falso» concludono Ielo e il sostituto procuratore Francesco Dall'Olio nella loro requisitoria.


La sentenza che ha messo un primo punto alla vicenda giudiziaria di Virginia Raggi coincide quasi con il midterm della consiliatura.  Due anni e 5 mesi a Palazzo Senatorio costellati tanto dai valzer nelle nomine e dai cambi in giunta, quanto dalle grandi sfide portate avanti nei settori strategici della città, dai trasporti ai rifiuti.

A giugno 2016, l'elezione del primo sindaco donna della Capitale (con una percentuale di favori che sfiorava il 70%) è coincisa con la prima vera esperienza di governo dei pentastellati. Il primo anno di Virginia Raggi, infatti, è stato costellato da grandi difficoltà: in primis con le nomine e con la costruzione ex novo di una classe dirigente di fatto azzoppata dall'inchiesta sulle nomine con l'arresto di Raffaele Marra, ex capo del personale poi arrestato con l'accusa di corruzione. Diversi i manager che si sono avvicendati nelle aziende capitoline, ma ad attirare maggiormente l'attenzione sono state le porte girevoli in giunta. Fino ad oggi gli assessori che - tra vicende giudiziarie, divergenze politiche, e cordiali commiati - hanno lasciato l'esecutivo sono otto: Marcello Minenna (andato via insieme all'ex capo di gabinetto Carla Romana Raineri), Paola Muraro, Paolo Berdini, Massimo Colomban, Adriano Meloni, Andrea Mazzillo, Alessandro Gennaro, e, solo nominalmente, Raffaele De Dominicis. La prima cittadina  ha inaugurato nuovi ingressi: dall'assessore all'Ambiente Pinuccia Montanari al titolare di Bilancio e Partecipate Gianni Lemmetti.

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