Marino non cede e oggi va in piazza «Le dimissioni? Seguo la legge»

Marino non cede e oggi va in piazza «Le dimissioni? Seguo la legge»
di Fabio Rossi
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Domenica 25 Ottobre 2015, 03:47 - Ultimo aggiornamento: 12:15

Alla sceneggiatura mancano solo le atmosfere caravaggesche di Intrigo internazionale e il cameo di Alfred Hitchcock. Poi, se il finale sarà all'altezza, Ignazio Marino potrà iscriversi di diritto al club dei maestri del thriller. La scena madre, oggi, si svolgerà in piazza del Campidoglio. Dove, 14 giorni dopo il primo sit-in spontaneo, torneranno a manifestare i sostenitori del chirurgo dem. Il quale osserverà tutto dalle finestre di Palazzo Senatorio, valutando l'ultimo colpo di teatro: quel possibile ritiro delle dimissioni che porterebbe il pallino della crisi nelle mani dei 19 consiglieri comunali dem, ben poco desiderosi di doversi sobbarcare il compito di staccare la spina alla consiliatura. Lui, il sindaco dimissionario-ma-non-troppo, continua a tirare dritto: presiede giunte, organizza eventi in periferia per Capodanno, inaugura strade appena ristrutturate. E a chi gli chiede se ci stia ripensando, e sia tentato dalla resa dei conti con il Pd, risponde con una frase standard: «Sto facendo quello che dice la legge». Ossia, prendersi venti giorni di tempo (che scadranno il 2 novembre) per confermare o ritirare le dimissioni presentate formalmente il 12 ottobre. La manifestazione di oggi potrebbe dagli la spinta, in un senso o nell'altro. E lui è tentato dall'idea di resistere, nonostante quasi tutti i suoi assessori siano comunque pronti all'addio e la sua maggioranza si sia ormai liquefatta.

LE OPZIONI

Marino, in realtà, lascerebbe il so ufficio senza ulteriori spargimenti di sangue se il Nazareno gli riconoscesse «l'onore delle armi», sotto forma di riconoscimento politico del lavoro svolto in questi due anni e rotti.

Ma da Palazzo Chigi arrivano segnali di tenore opposto, e anche Lorenzo Guerini, vice segretario del Pd, invita a guardare avanti, «a ciò che abbiamo da fare per preparare la città al Giubileo e, poi, alle elezioni amministrative del prossimo anno». In alternativa, il chirurgo vorrebbe andare in assemblea capitolina a esporre le sue ragioni, «spiegando ai romani che non vado via per gli scontrini, ma per giochi politici» e «mettendo in evidenza tutto ciò che è stato fatto dalla mia amministrazione».

La richiesta di convocazione dell'aula Giulio Cesare è stata presentata giovedì scorso da 12 consiglieri dell'opposizione. Ma la seduta non è stata ancora messa in calendario, quindi potrebbe non tenersi prima del 2 novembre: altro motivo per cui Marino sta accarezzando la possibilità di rimangiarsi la lettera di dimissioni, per non precludersi lo showdown finale.

I TIMORI

Il Pd romano, dal canto suo, vuole evitare il passaggio in consiglio comunale, anche per evitare di dover condividere con l'opposizione i voti su una mozione di sfiducia al sindaco, che non sarebbe appoggiata da Sel e dalla lista civica per Marino. Per trovare un'efficace exit strategy, in caso di resistenze del sindaco a farsi da parte, i 19 consiglieri comunali dem sono stati allertati: il commissario romano Matteo Orfini potrebbe convocarli già nel pomeriggio di oggi, qualora la situazione precipitasse. L'ipotesi sul tappeto, in quel caso, sarebbe quella delle dimissioni di massa dei consiglieri. Uno stratagemma che eviterebbe la conta in assemblea capitolina, ma che necessita di un accordo preventivo con la minoranza, visto che per chiudere anzitempo la sindacatura servono le firme contestuali di almeno 25 consiglieri. I dem capitolini, intanto, hanno preparato un documento da utilizzare alla bisogna per spiegare ai romani perché il Pd «non può più appoggiare il sindaco» e ritiene quindi «chiusa la consiliatura».

Nella lettera, i democrat romani rimproverano invece all'inquilino del Campidoglio «troppi errori nella gestione della città» e quindi «capacità di governo non adeguate a un compito così difficile». Ma anche «un rapporto troppo spesso conflittuale tra giunta e consiglio» che avrebbe reso «più difficile» amministrare la Capitale «in un momento storico caratterizzato da oggettive difficoltà, anche finanziarie» per Palazzo Senatorio. Piccolo problema: sette-otto consiglieri dem non sarebbero d'accordo a firmare.