Zona rossa, il ristoratore di Rieti: «Ho aperto il mio terzo locale. Folle? No, investo sull'asporto»

Il ristoratore di Rieti: «Ho aperto il mio terzo locale. Folle? No, investo sull'asporto»
di Giacomo Cavoli
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Domenica 14 Marzo 2021, 10:46 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 09:44

Il Lazio sta per tingersi di rosso. Eppure c'è chi, oltre ad essere sopravvissuto ad un anno d'inferno tra aperture a metà e chiusure totali, ha persino trovato la forza economica di inaugurare un terzo locale. E' la storia di Vittorio Bellini, che a Rieti sta dimostrando come un servizio d'asporto potenziato al massimo possa aiutare a superare sia il lockdown di un anno fa che, addirittura, consentire di mettere da parte le risorse necessarie per inaugurare un terzo locale.

 


Così, con una nuova zona rossa alle porte, Bellini dopo la prima, storica esperienza con il suo locale di solo pesce La lanterna, aperto nel quartiere di Villa Reatina dal 1990 al 2012 - si trova ora a gestire nuovamente l'omonimo ristorante, inaugurato nel settembre 2019 in via Paolessi e, a partire da venerdì scorso, anche una seconda sede de La lanterna in via Oreste Di Fazio, nel quartiere di Campoloniano, insieme già al Country Club di Belmonte in Sabina.

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Mentre per tanti suoi colleghi l'asporto rappresenta solo le briciole del fatturato originale, stretti all'angolo anche dalle percentuali richieste sulle consegne dalle piattaforme di delivery, Bellini 58 anni e ristoratore da 32 già prima che il mondo venisse contagiato dal Covid aveva scelto di puntare molto sulla consegna casa per casa, senza però sapere che da lì a poco si sarebbe rivelata una decisione di vitale importanza.
Come è andata l'idea?
«Ero andato nelle Filippine e in Colombia a trovare degli amici ristoratori e lì ho visto che puntavano molto sull'asporto, nonostante il Covid ancora non esistesse. Perciò quando sono tornato a Rieti ho deciso di investirci anch'io, acquistando a Roma le macchine termosaldatrici per mantenere i pasti caldi, oltre ad un furgone coibentato con il frigorifero, borse e valigie termiche».
Così, sul fronte dell'asporto, durante il lockdown è andata meglio che prima del Covid, vero?
«Un anno fa, in questi giorni, con il solo locale di via Paolessi consegnavo i pasti nei due Covid hospital dell'Alcli di Contigliano e Santa Chiara a Rieti, agli anziani a metà prezzo inclusa la consegna a casa e gratis alle forze dell'ordine impegnate su strada. Ho investito molto sull'asporto, rimettendoci anche di tasca mia rispetto ai prezzi che ho proposto, ma alla fine tutto mi è tornato indietro in pubblicità, consentendomi così di inaugurare anche il nuovo locale a Campoloniano». Che in soli due giorni ha già fatto registrare il pieno dei coperti.
Ma il non essersi affidato ai rider è stata una precisa scelta?
«Il pesce non è una pizza, che si può consegnare anche dopo 15 minuti e quando vado a casa di un cliente con il mio furgone, ho molta più riconoscibilità che attraverso una piattaforma di consegna».
Ora, fra il centro città e Campoloniano, Vittorio dà lavoro a nove persone che ora rischiano di essere messi in cassa integrazione. Qual è la sua previsione?
«Chi poteva immaginare che sarebbe cominciata la zona rossa? Ora vedremo come andrà: se il volume di consegne si manterrà alto come lo è stato in questi mesi, forse riuscirò a non dover mettere nessuno di loro nuovamente in cassa integrazione. Ma senza anche l'aiuto di mio fratello Francesco e di mia figlia Vittoria, non sarei riuscito a realizzare tutto questo».
Il suo è quasi un case history, come verrebbe definito nei libri di organizzazione aziendale, una storia in controtendenza con quanto osservato nel mondo della ristorazione italiana da quando è scoppiata l'emergenza sanitaria.

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