RIETI - La sua capacità di ascolto era emersa già sui banchi dell’Istituto magistrale “Tommaso Fiore” di Terlizzi. «Non immaginavamo che sarebbe diventato sacerdote, ma quando lo abbiamo saputo abbiamo rimesso insieme i pezzi». Lia Campanale ha 45 anni, opera in un centro per ragazzi disabili ed è un’ex compagna di classe del vescovo Vito Piccinonna. Con lei torniamo agli anni ‘90, quelli delle scuole superiori, lì dove don Vito ha conosciuto amiche e amici con i quali è sempre rimasto in contatto: alcuni li ha uniti in matrimonio, altri hanno scelto di far battezzare da lui i propri figli. «Saputo della nomina, prima di Natale, dopo 26 anni, ci siamo trovati tutti insieme davanti alla sua parrocchia ed era come se ci fossimo lasciati il giorno prima. È stata una serata bellissima, in cui abbiamo ricordato i vecchi tempi Ci siamo ritrovati ad essere quello che eravamo», racconta, con emozione, Lia.
Il racconto. E com’era don Vito da giovane studente? «Come adesso - risponde - una persona solare, l’anello di congiunzione del gruppo. Un burlone che sapeva far ridere, ma molto rispettoso e capace di ascoltarci nei momenti di difficoltà». In classe, grazie alla sua corporatura robusta, veniva spesso utilizzato come “scudo anti-interrogazione”, dietro al quale celarsi per non essere beccato dall’insegnante e questo non è l’unico aneddoto che Lia cita. «Indimenticabile - ricorda - quando dovevamo uscire per svolgere l’ora di tirocinio presso le scuole elementari o materne. Don Vito, insieme a un altro compagno, spesso la saltavano per andare in un panificio e al nostro ritorno ci facevano trovare i panini sui banchi. Un giorno il professore se ne accorse, ma non poté far altro che sorridere». Memorabili le frequenti entrate alla seconda ora che, con il senno di poi, insieme alle discussioni su parabole e libri, e alla passione per i sandali che cominciò a indossare dal terzo superiore, forse erano già segnali di vocazione. «Un giorno, incuriositi, gli chiedemmo perché spesso arrivasse alla seconda ora - prosegue Lia - e lui molto semplicemente ci disse che lo faceva perché andava a cercare i testimoni di Geova per convertirli. Fu una cosa che ci fece sorridere molto, ma insieme ci colpì».
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