Il vescovo Pompili a Verona, la pesante eredità che lascia ai fedeli reatini
Le parole di saluto e l'augurio ai reatini del vescovo

Il vescovo Pompili a Verona, la pesante eredità che lascia ai fedeli reatini Le parole di saluto e l'augurio ai reatini del vescovo
di Fabrizio Colarieti
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Sabato 2 Luglio 2022, 11:45 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 16:32

RIETI - Reatini, è ora di camminare sulle proprie gambe. Don Domenico Pompili, il vescovo-giornalista, lascia Rieti, chiamato a guidare la Diocesi di Verona. Un’indiscrezione che ha trovato conferme, ufficiali e definitive, solo ieri e che il capo della Chiesa reatina ufficializzerà oggi, ma che era nell’aria da settimane. Rimbalzata pure sulla stampa nazionale, in seguito all’elezione del neo sindaco della città scaligera, Damiano Tommasi. E, soprattutto, dopo i burrascosi trascorsi del vescovo in carica a Verona, monsignor Giuseppe Zenti, autore di una discussa lettera in cui chiedeva ai veronesi di fare attenzione ai programmi elettorali, premiando coloro che sostenevano la famiglia “non alterata dall’ideologia gender”. 

Pompili, dunque, avrà a che fare con altre macerie e con una missione altrettanto difficile, dopo quella di Amatrice e Accumoli e della faticosa ricostruzione che lo ha visto sempre in prima linea. Era lì un attimo dopo la scossa del 24 agosto 2016, ed era ancora lì, sul campo, nei giorni scorsi. Un vescovo per i tempi di guerra e per i tempi di pace. Un uomo della Chiesa che è riuscito a portare in casa nostra il Papa per ben quattro volte. Ne sentiremo la mancanza, questo è certo. È opinione comune che un “vescovo così”, Rieti, forse, non lo avrà più.

Ed è per lo stesso motivo che nelle ultime ore, dalla Valle Santa verso la Santa Sede, si sono inutilmente levati diversi appelli per evitare il trasferimento di don Domenico.

Una notizia che arriva alla vigilia della processione di Sant’Antonio, il più sentito evento religioso della città che, con ogni probabilità, potrebbe essere anche l’ultima uscita pubblica di Pompili. Riassumere il ministero del vescovo venuto dalla Ciociaria è difficile, ma sarebbe anche riduttivo ripercorrere a paragrafi i sette lunghi anni che lo hanno visto guidare, e spesso rivoluzionare, la Curia reatina. Pompili, questo è indiscutibile, lascia nel Reatino un segno indelebile e anche la eco di parole spesso dure (“Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”), critiche, ma, soprattutto, di speranza e di rinascita.

Avrebbe ripetuto migliaia di volte parole come “ricostruire” e “rigenerare” se il terremoto non avesse ferito la nostra terra? Sicuramente sì. Lo avrebbe fatto perché al vescovo Pompili è stato chiaro, fin dal suo arrivo in città, quello che mancava, quello che non andava e quello che ogni giorno divideva la comunità. 

Arrivando in Sabina esordì dicendo: «Di cose da migliorare ce ne sarebbero parecchie. Negli anni Rieti ha perso troppi treni. Sono rimasto colpito nel vedere le difficoltà legate ad esempio al mondo dei trasporti, alla ferrovia e alla Salaria in particolare. Ho come l’impressione che ci sia stata una strana forma di miopia nel non curare questi aspetti». Qualcuno, per questo, direbbe che è entrato più volte a gamba tesa nella vita pubblica, in campi (minati) che non gli competevano. Ha fatto bene, perché spesso, in particolare nel fare dei nostri amministratori, è venuta a mancare quella visione che, invece, ha orientato ogni minuto del mandato di don Domenico. Ut fructum afferatis, «Affinché portiate frutto», è il motto alla base del suo stemma episcopale. Al centro c’è un grande albero con tante foglie verdi e solide radici, segno di concordia e vitalità. Lo sfondo è argentato, segno di trasparenza. In alto ci sono tre stelle, a simboleggiare luce e orientamento. 

Ci lascia tutto questo il vescovo Domenico Pompili, sta a noi raccogliere i frutti dei tanti semi che ha piantato ovunque. Chiedergli di fare il Commissario al sisma, il sindaco ombra o di tirare fuori Rieti e la sua provincia dall’isolamento in cui versa da decenni è chiedergli troppo, non reintra tra i compiti di un vescovo. Lo era tentare in ogni modo, e con ogni gesto, di risvegliare una comunità. I reatini lo metteranno nel lungo elenco delle cose perse, dallo Zuccherificio alla Texas instruments, passando per il Meeting di atletica, ma è giusto che prosegua il suo cammino. Ora rialzarsi, camminare e correre è uno sforzo che spetta ai reatini. 

Le parole di saluto del vescovo. «La lettera del Nunzio porta la data del 20 giugno. Quel giorno sono stato chiamato a Roma. Ed informato che il papa mi nominava vescovo di Verona. Avevo in questi anni avuto sentore di qualche spostamento, ma poi tutto era sempre rientrato. Consideravo che così sarebbe stato ancora a lungo. Oggi, anzi da qualche giorno, sono dentro una tempesta emotiva, sopraffatto dalle tantissime persone che mi hanno svelato il loro affetto e la loro amicizia. Non che non avvertissi prima questa energia fatta di vicinanza e di simpatia, ma era come dissolta nel quotidiano andirivieni e non ci si faceva caso. In queste ore, vinte le inibizioni e la riservatezza, è venuto alla luce un legame forte, tenace che mi toglie il respiro.

Se avessi scelto non sarei andato a finire così lontano da qui, dalla mia terra, dai miei genitori. Ma so che la “chiamata” è sempre una novità che non si può preventivare. Nel Vangelo di oggi sono riportate queste parole: “Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano”. La novità è soltanto Gesù Cristo che da questa Cattedrale dove sono stato ordinato vescovo ha annunciato in questi 7 intensi anni. È soltanto Gesù la novità che fa saltare il banco delle consuetudini, dei pregiudizi, delle ovvietà.

Si dice solitamente che a Rieti non succede mai niente. È successo di tutto in questi 7 intensissimi anni: terremoto, pandemia, alluvione, crisi economica e sociale. E siamo stati insieme. “Fides” significa “legame” che per quanto invisibile è indistruttibile. Non mi viene da pensare che si allenterà o si distruggerà, ma si affinerà e si approfondirà. Questo è il mio augurio. Non senza aver detto grazie a tutti. E scusa a chi posso aver contristato.

Non scappo di notte. Perciò avremo tutto il tempo di stare insieme fino all'inizio del ministero a Verona. Verosimilmente in settembre. Intanto pregate voi per me e io per voi, così quel che è stato seminato porti frutto, sotto la guida di un altro pastore. Per fortuna il pastore buono delle pecore che è Gesù non passa né cambia».

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