Il vescovo Pompili saluta la città: ho fiducia, questa terra può farcela. Le difficoltà l'hanno resa più forte

Il vescovo Pompili saluta la città: ho fiducia, questa terra può farcela. Le difficoltà l'hanno resa più forte
di Raffaella Di Claudio
5 Minuti di Lettura
Sabato 24 Settembre 2022, 00:10

RIETI - Quando il telefono squilla, monsignor Domenico Pompili si sta preparando per andare a salutare Amatrice. L’agenda è piena di incombenze, ma tutte trovano spazio in giornate che diventano lunghe abbastanza per «fare ciò che ci viene chiesto». Compreso salutare la città attraverso le pagine de Il Messaggero, raccontando le difficoltà vissute, ma anche quelle superate. Nel segno di quella gentilezza divenuta tratto distintivo del cammino percorso negli ultimi sette anni dalla diocesi di Rieti sotto la sua guida. Mai troppo in avanti, ma sempre al fianco della comunità. 

In uno dei suoi discorsi alla città, auspicò una «rivoluzione gentile» che mobilitasse le persone per portare Rieti fuori da un atavico isolamento fisico e mentale. Fu un discorso dirompente, stimolò un dibattito, ma anche critiche. Sette anni dopo cosa ne è stato di quell’appello al cambiamento fondato sull’esempio spirituale di San Francesco, ma anche su infrastrutture e istruzione? 
«Con quell’espressione intendevo uno stile di costruzione della casa comune all’insegna della cooperazione invece che della contrapposizione, perché a volte mi era parso di cogliere un eccesso di campanilismo.

Nello specifico, la proposta era di sottrarre questa terra all’isolamento, che non è tanto il destino della geografia quanto della storia. Perciò le infrastrutture corrispondevano al bisogno di fare di Rieti uno snodo piuttosto che un tappo. Rispetto alla cultura, ho avuto sin dall’inizio l’impressione che fosse una città colta e la scuola e l’università mi sembravano le leve giuste per far crescere nel suo complesso. In tal senso, in questi anni, credo ci siano stati passi in avanti. Se penso alle infrastrutture, la Salaria, con tanto di commissario, attualmente è oggetto di un intervento significativo. L’offerta formativa dell’università è stata potenziata sempre di più e lo spostamento a Palazzo Aluffi ha valorizzato il centro storico. In più noi, come Chiesa diocesana, stiamo per avviare il corso per infermieri professionali». 

Nel 2016 aveva consegnato una lettera al presidente Mattarella nella quale, all’indomani del terremoto, chiedeva di trasformare quella tragedia in un’opportunità per il territorio. Cosa è stato recepito dei contenuti di quella lettera? 
«Penso che, nonostante il terremoto sia stato un terribile risveglio, forse ha rappresentato, insieme, il momento più basso e quello in cui si è iniziato a risalire la china come auspicato in quella lettera che era l’espressione del sentire della società civile. Mi sembra che negli ultimi due anni siamo entrati finalmente in una fase di avvio della ricostruzione, grazie a un’opera di netta semplificazione delle procedure che coincide con l’arrivo del commissario Legnini. Naturalmente, siamo a un po’ prima di metà dell’opera, quindi dobbiamo continuare ad insistere, ma la situazione dello stallo è stata superata. Ora è importante che partecipino tutti: pubblico e privato; Stato e cittadini; imprese economiche e ordini professionali». 

Chi verrà dopo di lei, a suo avviso, proseguirà nel suo solco o ci sarà da attendersi un cambio di rotta? 
«Quando c’è un cambiamento di persona è da mettere in conto un mutamento di stile ma all’interno di una strada già percorsa. Ciascuno è se stesso, visto che non siamo fotocopie, ma i problemi che dovrà affrontare chi verrà saranno gli stessi che abbiamo visto tutti insieme e anzi saprà infondere più energia, intelligenza e creatività». 

Lei ha qualche indiscrezione in tal senso? 
«Non ne ho, ma mi pare che si stia lavorando per identificare questa persona. Sono in attesa e vorrei non ci fosse un tempo troppo lungo di pausa, affinché con l’inizio del servizio a Verona si possa avere l’elezione del prossimo vescovo a Rieti». 
Quale pensa sia stato il lascito morale e materiale del suo ministero pastorale? 
“Io non farei tanto riferimento alle cose fatte o dette, ma a quelle che abbiamo sentito e percepito. La gente ricorda quello che sei riuscito a farle sentire negli attimi condivisi».

Quale è il momento più bello vissuto e quale il rammarico più grande? 
«Ci sono stati tanti momenti belli. Se inizio dall’ultimo periodo, l’azione esplicita e senza remore di affetto nei miei confronti, scaturita dopo l’annuncio dell’elezione Verona, è stata una grandissima esperienza. Però ci sono state situazioni, in questi anni, in cui ho toccato con mano tale forma di relazione con la gente. E se penso al primo Natale sotto le tende ad Amatrice, mi rendo conto che i momenti più belli hanno coinciso con quelli più difficili. Rispetto al rammarico, di cose incompiute ce ne sono tante. D’altra parte nessuno può pensare di salvare il mondo (sorride, ndr) da solo e in pochi anni. Bisogna fare quello che ci è chiesto, ma di sicuro alcune cose che sono state avviate dovranno maturare e portare frutto negli anni a venire». 

Allora, cosa augura alla città? 
«Auguro la fiducia. Anche quando è difficile, perché paga sempre. Dobbiamo avere fiducia che le cose andranno in una direzione migliore, perché siamo stati temprati dalle difficoltà che hanno lasciato emergere il carattere solido e sobrio di questa popolazione. Così mi era parsa all’inizio, così conferma oggi, dopo tanti anni trascorsi insieme». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA