Rieti, l'allarme del ricercatore: «Università, il progetto sulle staminali è a rischio»

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di Massimo Cavoli
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Domenica 6 Giugno 2021, 00:10

RIETI - «Chiudere o ridurre la presenza dell’università a Rieti equivarrebbe a condurre a morte certa tutta l’attività di ricerca che il Centro sta portando avanti da oltre un decennio e vanificherebbe gli sforzi compiuti per accreditare il Centro presso il mondo scientifico italiano e internazionale». Il grido di allarme, nei giorni in cui la sopravvivenza del polo universitario è posta in discussione, arriva dal dottor Costantino Santacroce, uno degli ideatori del progetto di ricerca sull’estrazione delle cellule staminali dai denti di giudizio, da destinare alla riparazione di lesioni muscolari o alla cura di malattie degenerative: studi che rappresentano un’eccellente fonte di “staminali mesenchimali adulte”, secondo una corretta definizione medica, con lo scopo di costituire a Rieti una Biobanca per la conservazione delle cellule staminali. Il ricercatore conosce bene la realtà universitaria reatina per aver fatto parte del consiglio di indirizzo della Fondazione Varrone (oggi è socio dell’assemblea) negli anni in cui il polo prendeva forma, e segue il Centro che si trova nella sede della Sabina universitas, che ne è la proprietaria.

Le osservazioni
I progetti di ricerca sono stati oggetto di 8 pubblicazioni sulle più importanti riviste mediche specialistiche internazionali e, alla vigilia di scelte importanti sul futuro del Consorzio, l’odontoiatra Santacroce rilancia: «Occorre capire che l’università a Rieti non sono solo gli attuali corsi di agraria, ingegneria della montagna e scienze sanitarie, ma c’è anche questa realtà di ricerca che ha ottenuto l’iscrizione al Miur nel 2011.

Collaboriamo con diverse università italiane e abbiamo sviluppato un progetto con l’Alcli “Giorgio e Silvia”, in sinergia con la Sabina universitas, per avere sul territorio una struttura dedicata allo studio delle patologie oncologiche e che apportino un significativo contributo alla comunità scientifica nell’elaborazione di nuove strategie terapeutiche». E, in modo più realistico, aggiunge: «Ancora possiamo discutere se quanto sia stato fatto in passato sia migliorabile o meno, resta il fatto che, a oggi, il Consorzio rappresenta l’unico modo per gestire i corsi delle due università coinvolte su Rieti. Non escludo in futuro questa forma giuridica possa essere modificata, ma non prima di aver creato le basi per la nuova struttura, capace di costruire un futuro universitario certo, con l’obiettivo di ampliare il Centro di ricerca, sia nei mezzi che nel numero di ricercatori. Infine, la proposta: «In questi ultimi anni la discussione tra i soci del Consorzio - conclude - è sempre stata incentrata sui tagli ai budget della Sabina universitas. A mio parere, dovremmo puntare all’autofinanziamento, partecipando ai numerosi bandi di ricerca esistenti e a creare relazioni con le aziende del territorio per attrarre altri capitali. Può essere utile istituire borse di studio per avere almeno due ricercatori che possano impegnarsi nei progetti già in corso. L’università rappresenta l’ultimo baluardo alla desertificazione demografica e culturale della nostra provincia».

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