A Greccio un bimbo nato sotto le bombe in Ucraina

La famiglia giunta a Greccio
di Sabrina Vecchi
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Lunedì 28 Marzo 2022, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 11:18

RIETI - Quando Massimo apriva per la prima volta gli occhi sul mondo, il mondo non era quello che la mamma avrebbe voluto per il suo piccolo. La 19enne Anastasiia finisce il tempo della gravidanza una settimana prima dello scoppio della guerra in Ucraina e il suo primo figlio nasce all’alba del 26 febbraio, quarantotto ore dopo l’inizio dell’invasione russa. Il parto è difficile e l’ospedale di Chernivtsi vive una situazione di grande affanno. Le sirene suonano di continuo e bisogna tenere le luci spente. Anastasiia riesce a malapena a vedere il suo bambino poi sono costretti a scendere nei sotterranei: «Era freddissimo e avevo addosso solo la camicia da notte. Eravamo tutti in piedi, ammassati, io col bimbo in braccio. Avevo bisogno di stare sdraiata perché mi hanno messo moltissimi punti, ma non era possibile». La sua prima notte di vita, Massimo la passa lì. «C’erano altri neonati e malati, avevamo paura». Anastasiia si interrompe poi ricomincia a parlare: «C’erano anche quelli della Rianimazione». Le dimissioni arrivano subito, l’ospedale ha bisogno di tenere i letti liberi. Chernivtsi, nel sud-ovest dell’Ucraina, è già un crocevia di transito per chi vuole raggiungere la Romania. Il neopapà Vasili corre in aiuto dei concittadini. Ma le sirene continuano a suonare e Anastasiia, costretta a letto al nono piano, non può scendere ogni volta nel bunker più vicino, che si trova almeno a 15 minuti di cammino da casa. Impossibile, con un bimbo appena nato in braccio e l’ascensore inusabile. «Sono restata a letto, non potevo fare altro. Intanto, pregavo che tutto finisse presto».

La partenza. La partenza per l’Italia arriva a quasi un mese dal parto, quando si rimette in piedi. Sul pulmino sale col piccolo e col fratellino Daniel, un vivacissimo folletto di quasi 4 anni. In Ucraina rimangono sua madre Nadia e il marito, arruolato nella difesa territoriale. Ad attenderla, dopo trenta ore di durissimo viaggio, c’è l’abbraccio di nonna Valentyna. Dal 1998 a Rieti, ormai cittadina stabile di Greccio, dove il marito Vladimiro aveva sistemato con tanti sacrifici una casa «che si è goduta solo un mese», Valentyna ha 63 anni e una vita difficile alle spalle. Mai avrebbe immaginato di sopportare anche questo: «Con i russi eravamo come fratelli, non posso crederci. Ma mi rendo conto che sono impotenti e hanno paura, come noi». Valentyna vede per la prima volta il bis-nipotino nella tarda serata di venerdì. Prende in braccio il fagottino azzurro avvolto nella coperta di Topolino. E piange. Ma poi si sistema il ciuffo biondo e si scusa: «Daniel si è subito risentito, mi ha guardata e mi ha detto: nonna ci sono anch’io». A Greccio scatta subito la macchina della solidarietà, capeggiata dal sindaco Emiliano Fabi: «Si è formata una rete di aiuto tra cittadini, parrocchia e amministrazione comunale.

Ringrazio soprattutto le consigliere Fabiola Ciferri e Maria Isabella Orsini che si sono messe in ogni modo a disposizione». Si apre nottetempo la farmacia del primo cittadino per le prime necessità del bimbo, si allerta subito un pediatra. Nonostante un primo mese di vita quantomeno complicato, Massimo cresce bene, ha sempre appetito e ora pesa 4,4 chili. Anche Daniel sta bene: nei suoi ultimi giorni di asilo a Chernivtsi, oltre alla cartella, ha dovuto portare con sé una coperta, una borraccia d’acqua e i dati dei suoi genitori cuciti nel giubbotto. Per lui sembra essere tutto un gioco. E Greccio apre le braccia. Qui, nel paese gemellato con Betlemme e luogo del primo presepe del mondo, di bambini nati “al freddo e al gelo” ne sanno decisamente qualcosa.

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