Rieti, la dura vita della "cinese"
Silvia Zaccaria: dieci mesi
di formazione che lasciano il segno

Silvia Zaccaria in Cina
di Vittorio Giuliano
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Martedì 24 Luglio 2018, 09:12 - Ultimo aggiornamento: 09:15
RIETI - Come sarebbe studiare un anno in Cina, lontano dai genitori, dagli amici e ritrovarsi immersi in una cultura distante dalla nostra e per la maggior parte di noi del tutto sconosciuta? Lo racconta Silvia Zaccaria, studentessa del liceo linguistico, vincitrice del concorso nazionale di Intercultura che si è ritrovata catapultata di colpo in oriente.

16 agosto 2017, fatte le valigie, si parte, destinazione Roma, la futura cinesina si ferma una notte, e il pomeriggio seguente prende il volo che la conduce, dopo 20 ore e uno scalo nel «bellissimo» aeroporto di Dubai, a Pechino, dove partecipa ad un campo di preparazione psicologica, insieme ad altri cinque ragazzi italiani, suoi compagni in questa nuova avventura. Due giorni dopo via treno arriva nella città e nella scuola che saranno la sua nuova Rieti per i 10 mesi seguenti, Jiujiang.

«All’inizio, un mesetto, è stato un po’ traumatico - risponde quando le viene chiedo se abbia accusato la differenza culturale - la lingua per prima, il cinese è molto più difficile di quanto si possa pensare, perché a differenza delle altre lingue hai tre cose da imparare: il carattere, la fonetica del carattere e come scrivere il suono, ed è stato un grande ostacolo da superare. Tutto è stato da subito molto intenso, i cinesi mancano un po’ in sensibilità, involontariamente non si rendono conto del passaggio che tu vivi dal tuo paese al loro, non si preoccupano troppo di quanto tu possa essere in difficoltà, dal momento in cui arrivi loro ti vedono come un ragazzo cinese, e pretendono che tu ti abitui alla loro routine».

Una routine molto stressante: sveglia presto, lezioni dalle 8 del mattino alle 9:30 di sera intervallate solamente da due brevi pause durante il pranzo e la cena. 5 giorni a settimana. Arrivati a sabato la routine scolastica lasciava il posto alla vita “familiare”, dal college di residenza ci si trasferiva, infatti, nella famiglia a cui si era stati assegnati e dove si trascorrevano il sabato e la prima parte della domenica, per tornare alle 7 a scuola per l’ultima lezione della settimana.

Un ritmo del genere è stressante, estenuante, se si pensa che la vita di Silvia fosse stata impostata solamente sullo studio della lingua, unica materia di corso, e che la pressione sotto cui sono messi questi ragazzi non è poca: «Ti mettono l’ansia appena arrivi, i primi giorni di scuola il tutor ci disse che dovevamo conseguire un esame a fine anno, ottenendo come risultato minimo una certificazione di livello B2, e te lo ricordano ogni giorno, non ti dico neanche il mese prima dell’esame, ti stanno costantemente con il fiato sul collo». Per chiarire: il livello B2 è un livello alto, e che richiede una conoscenza approfondita della lingua, che necessita molto tempo per conseguirlo per lingue con alfabeti comuni a quello italiano, figuriamoci per una lingua completamente diversa come quella che si è trovata a dover studiare Silvia.

Come se non bastasse oltre all’enorme, in principio insormontabile, barriera linguistica, la giovanissima studentessa (17 anni) ha dovuto abituarsi ad una realtà completamente diversa: «La rete, tutto quello che usiamo noi, non c’è, hanno perfino un loro motore di ricerca, differente da Google; fortunatamente essendo partita con un telefono dall’Italia potevo ancora usare i social,e fare videochiamate con i miei grazie a whatsapp, cosa che li è assolutamente illegale, se ti beccano ti fanno una multa e rischi grosso». Questo come altre differenze sono state motivo di difficoltà, che hanno portato la ragazza a gennaio a pensare di mollare tutto e tornare in Italia: «A gennaio, è stata dura, demoralizzante, come succede a molti mi sono guardata indietro, vedendo tutto ciò che era passato, tutte le difficoltà che avevo avute, e rendermi conto che, davanti a me avevo altrettanto tempo, altri 5 mesi, lontano dalla mia realtà è stata una brutta botta, poi mi sono fatta coraggio anche sostenuta dagli altri ragazzi e fortunatamente sono andata avanti».

Da un’esperienza del genere cosa ci si riporta? «Per prima cosa mi riporto una certificazione di B2 di cinese (che nel momento storico in cui viviamo è un bel biglietto da visita per il mondo del lavoro), allena lo spirito di adattamento, e poi ho conosciuto una realtà diversa che ti dà tanto: i cinesi sono davvero brave persone, con le loro mancanze principalmente a livello sociale, ma sono grandi lavoratori, hanno il senso del dovere altissimo, sono persone umili, precise e, una cosa che mi ha colpito, sono molto caritatevoli, da loro non ho mai visto una persona negare un aiuto ad un povero, donando anche solo una monetina».

Il confronto tornata in Italia è stato spontaneo e Silvia si è accorta di come in molte cose il nostro paese sia ancora indietro, dalla puntualità al rispetto del prossimo.

Quando alla fine della chiacchierata le viene chiesto se rifarebbe questa esperienza, la risposta è sicura: «assolutamente sì, però a esser sincera non sarei rimasta un giorno di più, l’ultimo mese, passato l’esame, non vedevo l’ora di tornare a casa».
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