RIETI - Non è sufficiente considerarsi la vittima di affermazioni lesive della propria reputazione rese da altri, ma per dimostrarlo occorre che il proprio nome venga esplicitamente associato alla presunta diffamazione. È sostanzialmente quanto affermato in una sentenza assolutoria pronunciata dal tribunale, in merito a un singolare caso di diffamazione attraverso facebook - fenomeno che sta facendo finire all’esame della magistratura un crescente numero di casi - in seguito al quale era finito sotto processo un uomo di 47 anni di Santa Rufina, accusato di aver postato un video e una serie di frasi ingiuriose, frutto di uno sfogo personale legato a una controversia per il mancato pagamento di una prestazione lavorativa. Affermazioni che, in qualche modo, sembravano prendere di mira il presunto diffamato che, pur non essendo stato mai citato con nome e cognome, ugualmente si era ritenuto destinatario del filmato, leggendo alcuni riferimenti contenuti nelle parole. Era stata, così, presentata una denuncia e per l’imputato era arrivata la citazione a giudizio da parte della procura, ferma nel chiedere al processo la sua condanna a quattro mesi.
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Tutte da leggere, e decifrare, le frasi incriminate postate sulla pagina facebook dell’imputato, che aveva esordito scrivendo “ho un diverbio con il fratello di Peppa Pig”, “il signor Giuda Pig il Porco”, “Giuda Pig al tempo titolare di questa agenzia”, proseguendo con “è un giuda infame uno che alla gente che onestamente e regolarmente ha lavorato”: giudizi che avevano ricevuto like e condivisioni da altri utenti.