Rieti, truffa con i rifugiati: quattro le condanne

Sant'Antonio al Monte (foto d'Archivio)
di Emanuele Faraone
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Mercoledì 6 Ottobre 2021, 00:10

RIETI - Il processo Te.Sa. arriva alla sentenza di primo grado dopo quasi nove anni: quattro le condanne e un proscioglimento per estinzione del reato. Così ha deciso il collegio giudicante del tribunale di Rieti, al termine della lunga udienza di ieri, interamente dedicata alle arringhe delle difese e a una serie di repliche e controrepliche. Condannato il gestore del Consorzio, Enzo Santilli, a 5 anni e 6 mesi, con interdizione perpetua dai pubblici uffici; 2 anni per l’ex priore della Confraternita, Maurizio Amedei, un anno e 10 mesi per la rappresentante legale Maria Adelaide Santilli mentre per il presidente Francesco Pennese 4 anni e 6 mesi, con interdizione quinquennale dai pubblici uffici. Nei confronti di Sergio Santilli (titolare della società 3T eventi), sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato, causa decadenza dei termini. Infine provvisionali di 10mila euro per ciascuno dei 12 immigrati, parti civili rappresentate in giudizio dalle avvocatesse Annalisa Mariantoni e Monica Mariantoni, con risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede civilistica.

La vicenda
Un processo che annoverava la contestazione di numerosi reati a carico dei cinque imputati (associazione a delinquere, truffa ai danni dello Stato, malversazione, subornazione, estorsione) e su alcuni dei quali la prescrizione ha prodotto l’estinzione del reato. Di «anomalia nella “notitia criminis” viziata da errori già dalle fasi iniziali e distorsioni anche dovute alle traduzioni dall’inglese, a partire da quelle rese in sede di incidente probatorio» aveva parlato l’avvocato Alberto Patarini, legale del presidente Pennese, che ha poi evidenziato come il presunto tentativo di estorsione non sia mai stato provato e addirittura sconfessato dalla stessa parte offesa: «Una posizione intoccabile e inattaccabile», ha concluso la difesa, dopo una lunga digressione che, a partire dal 2013, ha tracciato il percorso di Pennese tra le fila della coop Te.Sa.. A seguire, l’arringa dell’avvocatessa Angela Boncompagni in difesa dell’ex priore della Confraternita, Amedei, che - dopo aver stigmatizzato l’ingiusta accusa nei confronti del proprio assistito - ha sottolineato: «Il dibattimento ha già fatto emergere la sua estraneità rispetto ai vari capi di imputazione». Del resto, il contesto in cui si inseriva Amedei non avrebbe lasciato dubbi: «Amedei era presente a Sant’Antonio al Monte dal 2009 - ha spiegato l’avvocatessa - e il ruolo rivestito era solo quello di priore, custode della chiesa per conto dei frati, senza alcuna posizione gestionale o di intermediazione all’interno della consorzio o in relazione agli immigrati». Pomeriggio infine occupato dalla difesa del gestore Enzo Santilli e della legale rappresentante, Maria Adelaide Santilli - assistiti dall’avvocato Riziero Angeletti - che ha aperto il suo intervento con un interrogativo: «Cosa c’è di oggettivamente probante?». Il legale ha poi evidenziato l’inesistenza di atti, comportamenti o condotte di rilevanza criminale o di azioni e fatti di rilievo penale. Fatti non dimostrati, a partire dall’errore più macroscopico e grossolano: «Si confonde il reato di associazione a delinquere con il concorso di persone nella commissione di un reato». La spallata difensiva alla tesi accusatoria sostenuta dalla Procura è proseguita nella spiegazione di quella che è stata definita una «forzatura giuridica non condivisibile sotto ogni profilo», avvalorata dal «dies a quo e dies ad quem», in riferimento al computo dei termini della presunta associazione a delinquere. Per il titolare della società “3T eventi”, Sergio Santilli (avvocato Stefano Marrocco) reato prescritto. Secondo la tesi della Procura (pm Rocco Gustavo Maruotti), sulla scorta delle indagini condotte dalla Guardia di finanza, la Coop Te.Sa. avrebbe distratto fondi statali destinati all’immigrazione (circa 650mila euro per il progetto “Emergenza nord Africa”) dirottandoli verso tutt’altre attività, come l’acquisto di generi alimentari di eccellenza (filetti di orata, salse, faraona, dolciumi, scampi) non destinati ai rifugiati, ai quali sarebbe stata somministrata una refezione scadente e alloggi inadeguati, oppure utilizzati per attività di catering e marketing sempre gestite dalla coop all’interno del convento di Sant’Antonio al Monte.

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