Rieti, rifiuti pericolosi sversati
a Campo Saino, prosciolti
Riccardo Bianchi e altri imputati

Riccardo Bianchi
di Alessandra Lancia
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Mercoledì 6 Giugno 2018, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 13:40
RIETI - Prosciolti senza neanche andare a processo perché il fatto non sussiste. Tre anni e mezzo dopo l’inchiesta della procura della Repubblica di Rieti che portò al sequestro di parte del depuratore di Campo Saino e alle accuse alla «AeA» di Riccardo Bianchi di aver gestito abusivamente oltre tre tonnellate di rifiuto liquido in quattro mesi, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Roberto Saulino, ha dichiarato il non luogo a procedere per Bianchi e gli altri imputati perché il fatto non sussiste.

Coinvolti nell’inchiesta, condotta dal Nipaf della Forestale e dall’Arpa Lazio, oltre all’AeA di Bianchi (in quanto gestore del depuratore del Consorzio industriale di Campo Saino) furono anche due società di Matera, la Dow Italia, produttrice dei rifiuti «incriminati», e la Tecnoparco Valbasento, dove i rifiuti furono sottoposti a un primo trattamento trasformandosi (secondo l’accusa fittiziamente) da pericolosi a non pericolosi, per essere poi trasportati fino a Rieti e conferiti nel depuratore cittadino.

IL SEQUESTRO DELL'IMPIANTO NEL 2015
L’inchiesta e il sequestro di parte dell’impianto risalgono al gennaio 2015 e fecero scalpore in città. Bianchi, divenuto da poco presidente della Federlazio, contestò duramente le accuse della Forestale – che ipotizzava non solo traffici e arricchimenti illeciti ma anche lo sversamento dei liquami provenienti dalla Basilicata direttamente nel Velino - e reclamò un rapido dissequestro dell’impianto, paventando la messa in libertà degli addetti e l’aumento delle tariffe di depurazione.

Seguirono tre anni di braccio di ferro e di rovesci con la Procura di Rieti ,anche se poi a vagliare il caso è stato il Tribunale di Roma, perché nel frattempo l’inchiesta, per via dell’ipotesi di traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi era passata attraverso la Direzione distrettuale antimafia. Il 6 marzo del 2017 il procuratore di Rieti, ascoltato dalla commissione antimafia su attività illecite relative allo smaltimento dei rifiuti, citò proprio il caso di Camposaino come di «una discarica a circa 2 chilometri dal centro abitato di Rieti, dove venivano sversati liquami abbastanza pericolosi provenienti dalla Basilicata».

LE CONCLUSIONI DEL GIUDICE
Diverse le conclusioni del gup che il 16 marzo scorso ha chiuso il caso con un non luogo a procedere nei confronti degli amministratori della AeA (con Riccardo Bianchi anche l’allora direttore Andrea Alleva), di Dow Italia (Massimo Checci) e della Tecnoparco Valbasento (Nicola Savino e Egidio Ricciuti). Tra i motivi della decisione, il giudice ha indicato «i gravi e insanabili errori di metodo nella conduzione delle indagini», un impianto accusatorio «denso di criticità ricostruttive», incongruenze e «deficit descrittivi di intrinseca contraddittorietà».

In buona sostanza chi fece l’indagine pasticciò con i codici dei rifiuti pericolosi, non provò che la «ripulitura» avvenuta già in Basilicata fosse davvero fittizia né provò il dolo e la collusione tra le tre società nello smaltire i rifiuti. Conclusione: niente processo per Bianchi & co. perché il fatto non sussiste.
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