Trasferimento dei Rom dai campi della capitale: anche Poggio Nativo dice di no

Campo Rom (Archivio)
di R.D.C.
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Martedì 12 Gennaio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 10:17

RIETI - Si unisce al coro dei no, ma la connotazione di centrosinistra di Veronica Diamilla e della (seppur civica) Amministrazione di Poggio Nativo fa sì che la contrarietà al trasferimento dei rom fuori Roma sposti la questione al di là degli schieramenti politici. Finora, nel Reatino, erano stati la Provincia e i Comuni di Rieti e Fara (tutti a maggioranza centrodestra) a bocciare il piano Campidoglio che punta a smobilitare alcuni campi rom della Capitale in favore dell’accoglienza diffusa dei rom nei comuni limitrofi a Roma. “Sono un sindaco che guida una coalizione civica, ma personalmente, si sa, schierata a sinistra, però va detto ad alta voce, anche dallo schieramento a cui appartengo, che è una soluzione errata quella prospettata da Raggi – esordisce la prima cittadina di Poggio Nativo -, perché destinata a creare tensioni sociali nei nostri territori e soprattutto perché un problema così complesso non può essere risolto spostandolo temporaneamente (per 24 mesi, così è scritto nel bando pubblicato da Roma Capitale) nelle province. Leggendo alcune parti del bando mi sembra, infatti, che più che accoglienza diffusa, con le “strutture in regime di condominio sociale” si sia ricalcato il modello dei centri di accoglienza migranti, che di diffuso hanno poco e niente e diventano solo nuovi ghetti che regalano a noi sindaci di provincia importanti problemi sociali da affrontare con le zero risorse che abbiamo a disposizione. Tra l’altro – sottolinea Diamilla - a bocciare il bando e il piano di Raggi, dal sapore pre-elettorale, è proprio l’associazione “21 luglio onlus” che si occupa da sempre di diritti umani e delle comunità rom”. Secondo Veronica Diamilla il piano è inefficace perché non risolve il problema ma si limita a spostarlo lontano dalla Capitale. “Il 31 maggio 2017 Raggi affermava che a Roma si sarebbero superati i campi rom con l’approvazione di un piano che avrebbe consentito di riportare Roma in Europa. Forse oggi - conclude l’amministratrice - si deve riconoscere che il piano non ha funzionato, ma l'alternativa non può essere la delocalizzazione del problema nel resto del Lazio”.

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