RIETI - Per capire quanto la pandemia abbia avuto ricadute sull’occupazione di Rieti e della sua provincia, basta un dato: seicento. Tanti sono state le persone che a causa dell’emergenza covid hanno perso il posto di lavoro durante il terrificante 2020. Un numero che solo in apparenza sembra contenuto, ma che invece va ad aggiungersi a uomini e donne che ancor prima dell’emergenza sanitaria avevano visto sfumare il lavoro per via di una serie di crisi industriali e chiusure di aziende. Questo e altro si ritrova nel dossier che la Uil del Lazio ha elaborato su dati Istat con l’Istituto di ricerca Eures e che la Uil di Rieti e della Sabina romana ha analizzato focalizzando l’attenzione sulla sua provincia.
A fare le spese di questa contrazione sono state le donne: se nel 2019 le occupate reatine superavano le 25mila unità, a fine 2020 sono scese a poco più di 24mila, che tradotto in termini significa un segno meno di 3,6 punti percentuali. «Le donne occupate sono tornate ai livelli del 2016 – spiega Alberto Paolucci, Segretario della Uil di Rieti e della Sabina Romana – Ciò significa che la pandemia sul fronte del lavoro femminile ha riportato indietro le lancette del tempo di cinque anni, quando eravamo in piena emergenza sismica e quando numerose attività avevano chiuso proprio a seguito del terremoto».
Terremoto e pandemia sono eventi che l’uomo non può prevedere ma sui quali può e deve impegnarsi affinché le ferite vengano cicatrizzate al più presto. Il panorama oggi è desolante: se nel 2020 la fascia adulta di uomini reatini occupati ha resistito alle criticità del covid, oltre alle donne, anche i giovani hanno pagato duramente il lockdown, le chiusure intermittenti e le zone rosse: in tutto il Lazio il calo degli occupati nella fascia 15-24 anni registra un segno negativo di 7,1 punti percentuali.
«Il decremento occupazionale della nostra provincia – prosegue Paolucci – è determinato da lavoratori del settore dell’industria, compensato in parte anche se non totalmente da una crescita del settore agricolo e dei servizi. I disagi ricadono sia sui lavoratori autonomi sia sui subordinati, soprattutto se con contratti di lavoro a termine. A preoccupare poi c’è anche il dato degli inattivi (+8,2 per cento nell’ultimo anno, il più alto tra le province del Lazio, ovvero di quelle persone che hanno smesso di cercare lavoro, perché sfiduciati sulle possibilità di trovarlo: sono quasi quarantamila nel nostro territorio».
«Sembra di assistere a un impietoso gioco dell’oca - conclude l’esponente sindacale – che riporta indietro il territorio di anni, che penalizza i più fragili. E che soltanto grazie agli ammortizzatori sociali e al blocco dei licenziamenti non ha lacerato irrimediabilmente il tessuto sociale reatino. Pensate a cosa sarebbe stata la nostra provincia senza la cassa integrazione e il reddito di cittadinanza, considerando che tra ordinaria, straordinaria e in deroga nel 2020 sono state oltre tre milioni le ore di cassa integrazione concesse, vale a dire quasi duemila lavoratori protetti. E che in quasi ottomila persone hanno percepito almeno una mensilità del reddito di cittadinanza».
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