La Procura indaga sulle attese
infinite al pronto soccorso
del de Lellis, Cittadinanzattiva
accusa: via il personale inadatto

La Procura indaga sulle attese infinite al pronto soccorso del de Lellis, Cittadinanzattiva accusa: via il personale inadatto
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Venerdì 31 Agosto 2018, 07:37 - Ultimo aggiornamento: 13:56
RIETI - Si muove su due piani differenti, anche se si intersecano, l’inchiesta della procura della Repubblica sulla morte della 77enne Bruna Massera di Morro Reatino, avvenuta al de Lellis dopo un secondo ricovero e ben 32 ore di snervante attesa al pronto soccorso. Se da un lato l’attenzione degli inquirenti si focalizza sulle condizioni cliniche esistenti al momento del primo ingresso in ospedale, comparandole con quelle delle dimissioni, l’altro aspetto attualmente tenuto in grande considerazione, in attesa dei risultati dell’autopsia, è quello relativo alla lunghissima attesa patita dalla donna al pronto soccorso.

TRENTADUE ORE DI SNERVANTE ATTESA
Trentadue ore appoggiati a una barella, al cospetto di un quadro clinico già delicato, possono fiaccare chiunque ed è proprio sulla lunga attesa patita della donna e sulla giustificazione medica di questa, se esiste, che la Procura vuole accendere un primo riflettore.
Non è la prima volta che il girone dantesco del pronto soccorso del de Lellis finisce sotto i riflettori. Le attese sono all’ordine del giorno, così come l’abitudine ad appoggiare l’utenza, giovane e meno giovane, su sedie e barelle, tutto meno che confortevoli, senza tralasciare la «cortesia» non oxfordiana del personale in servizio. Elementi che vanno a incidere pesantemente sui pazienti, in particolare quelli meno giovani o che soffrono di patologie gravi. Il decesso della donna di Morro, così come la rinnovata attenzione sulla situazione del pronto soccorso, hanno riacceso in ospedale le polemiche sul reparto, la prima linea di un ospedale da tempo sotto assedio.

LE ACCUSE DI CITTADINANZATTIVA
A puntare l’indice, oltre quello accusatorio della Procura, è stata ieri Cittadinanzattiva. Il coordinatore Antonio Ferraro, in una nota, parla di «morte che si poteva evitare». «Ancora una volta - denuncia Ferraro - sono fallita quell’attenzione assistenziale e umanizzazione promesse nel corso degli incontri collegiali tra Asl e associazioni, con una morte probabilmente avvenuta per infezione ospedaliera, dopo una dimissione improvvida e una permanenza in barella al pronto soccorso di ben 32 ore».
Ferraro ricorda quindi alla direzione Asl la necessità di una «presa in carico effettiva del paziente critico» e l’urgenza di passare «da una “diagnosi da bancone”, fatta da un’infermiera dietro un vetro con domande e risposte dal malato o dai parenti, a una vera diagnosi clinica fatta immediatamente da un medico». Ma è sui tempi di attesa che le osservazioni diventano feroci. Per Cittadinanzattiva diventa imprescindibile «la riduzione dei tempi di attesa presso il pronto soccorso e il miglioramento di diagnosi specialistiche, inviando direttamente parte dei pazienti nei reparti subito dopo la prima diagnosi clinica».

«ALLONTANARE IL PERSONALE INADATTO»
Ferraro chiede inoltre alla direzione aziendale «di allontanare dal pronto soccorso il personale chiaramente inadatto al ruolo professionale assegnato» e «un controllo assiduo dei pazienti in attesa». Sottolinea l’importanza di «stare vicino ai pazienti e ai parenti in attesa e in ansia». Evidenzia poi «il problema della reperibilità degli specialisti, spesso evitata ad arte, e che prolunga i tempi di attesa al pronto soccorso. L’attenzione nel dimettere pazienti con fragilità sociali evidenti e in orari notturni critici per tutti in assenza del supporto dei parenti». Ricorda infine «il grande tema del comfort, là dove oggi, pazienti sofferenti, vengono tenuti su una barella o su una carrozzina per molte ore, e sul diritto alla sedazione e controllo del dolore». Basterà tutto questo per evitare altri eventi inattesi? Non lo sappiamo, ma è a questo che un ospedale che vuol definirsi tale deve mirare.
 
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